Fiorello e Amadeus campioni a pari merito del Sanremo 2020

Anche la Tv ha i suoi “pontificali”. Per Rai Uno lo è da settanta anni l’ultima serata del Festival di Sanremo. Annualmente una solenne “liturgia” raggiunge le case degli italiani, riuscendo a squarciare lo schermo televisivo.

Azzeccato il suo canto d’ingresso, la sigla di apertura: l’inno di Mameli, suonato dalla banda dei Carabinieri. Come a voler precisare: Il Festival di Sanremo è l’Italia; le sue canzoni potrebbero trasformarsi in inni capaci di varcare i confini della nostra penisola. Quest’anno a presiedere “il rito” è stato chiamato Amadeus. Un volto familiare che accompagna quotidianamente il post cena degli italiani coinvolti nella ricerca d’identità e di parenti misteriosi. In queste cinque serate l’ex disc jockey ci ha fatto compagnia fino a tarda notte. Così lo abbiamo conosciuto meglio e apprezzato di più. Dopo la brillante direzione artistica e conduzione della rassegna canora, Amadeus può essere considerato “il gigante buono” della TV italiana. È uno di noi. Lo abbiamo visto piegarsi in due per le risate, arrossire in volto, commuoversi, stupirsi. È riuscito a stare sul palco, senza “calpestarlo”.

Icona di equilibrio. Di quel rigore professionale attraversato dalla spontaneità e imbevuto dal senso di responsabilità. Con l’amico Fiorello da trentacinque anni coltivavano il sogno di stare alla “regia” di Sanremo. Ci sono riusciti entrambi. Ecco perché insieme sono i veri vincitori del Festival 2020. Primi classificati a pari merito. Fiore e Ama campioni. L’amicizia ha vinto sulla logica edonistica del carrierismo, delle povere competizioni, delle infantili gelosie. Il “pontificale” ha avuto il suo gioioso “atto penitenziale”, in un’edificante e sincera confessione a due voci. Fiorello dice all’amico: «Ce l’hai fatta!». Immediata la risposta di Amadeus: «Ce l’abbiamo fatta».

Due amici che hanno saputo custodire un sogno. Ora lo condividono. Tutto è coronato da un forte e lungo applauso. Vediamo Fiorello commuoversi. La sua voce per qualche secondo è spezzata dall’emozione. La telecamera in pochi secondi compie la sua fugace ed efficace indagine psicologica. Fotografa i loro stati d’animo: c’è gioia, gratitudine, empatia, sinergia. A dare altra luce a questo momento sarà la zia, la signora della Domenica: Mara Venier. Ci tiene a condividere la gioia per il successo dei due mattatori. La campionessa degli ascolti Auditel della domenica pomeriggio degli italiani sale così anche lei “a piedi scalzi”sul carro dei vincitori.

Sanremo 2020 ha un suo arcobaleno, un suo nuovo lessico che prende le distanze dalla tv dei pettegolezzi, delle menzogne, dalle spettacolarizzazioni di pseudo sentimenti, dai reality preconfezionati, dalle esclusive da urlo megalattico. Fiore, Ama e Mara ne sono la conferma. Una terna che ha ancora tanto da dare alla nostra Tv. Le parole che fanno da cornice al festival sono: amicizia, promesse mantenute, solidarietà, fratello, nonostante la vicenda di Morgan e Bugo. Quest’ultima va soltanto cestinata. Mentre è da custodire nella memoria del Festival la pagina scritta da Tiziano Ferro alla vigilia dei suoi quarant’anni. L’ha strappata dal diario della sua vita. Un breve monologo. Tante gocce che sanno scavare e inquietare. «L’amore è un lavoro lento e faticoso». «La felicità non è un privilegio, ma un diritto». Non c’è poesia. C’è coraggio. Il “pontificale” prosegue.

Volti nuovi e volti storici del Festival si alternano. Zarrillo, Grandi, Masini, Tosca con i Pinguini tattici nucleari, Diodato, Riki, Anastasio. C’è Rita Pavone, “la ginestra leopardiana” della musica italiana, c’è Gualazzi “l’Arlecchino” che porta nel suo Carioca i colori e i suoni più belli della musica. Poi arriva Ivan Cottini in carrozzella. La lascia con determinazione per ballare. Lancia il suo messaggio: «La diversità è bellezza ed io ne ho fatta un’arte». Ritorna Fiorello. Vuole parlare alle nuove generazioni, ai figli. Vuole dialogare con loro senza avere la presunzione di insegnare qualcosa. Alla fine i veri maestri sono anche quelli che non vogliono esserlo. Sceglie ancora la via della comicità intelligente, pungente, impastata di realismo, fatta d’immagini, di ricordi. Quella che prima ti fa tanto sorridere. Poi ti educa a riflettere. Una sorta di amabile gioco pedagogico.

Un’arte poco usata. Perché serve “cervello” per entrare nei cervelli. Il mattatore siciliano tira fuori dal cassetto dei suoi ricordi: il ghiacciolo alla fragola di color viola, le false firme poste sui libretti che giustificavano le assenze a scuola, sostituite oggi dalle mail a raffica che arrivano ai genitori quando il figlio non è tra i banchi. Parla della filosofia del non contiene che gestisce i consumi e il mercato di oggi. Finisce con l’invito a ripristinare un ballo del tutto scomparso: Il lento. Lo balla con Amadeus, presentandone le tappe, i vari momenti e il suo finale: un abbraccio. C’è la consegna di una sapiente lezione per i nostri figli che “mangiano e bevono” comunicazione virtuale: usare il cuore e il cervello per comunicare: Sanremo 2020 l’ha fatto. In punta di piedi. Senza forzature. Salvaguardando lo spettacolo.

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