16Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.
17Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acòr in porta di speranza.
Osea, 2

È tutto così strano, improvviso e devastante… – mi scrive un amico medico, impegnato in un ospedale del nord Italia. E continua – …sarà molto importante vedere e capire cosa resterà e come resteremo…

Eppure era da tempo che con un amico sacerdote chiedevamo la grazia di un tempo lento e silenzioso, magari in qualche sperduto eremo, con una piccola comunità di preghiera, studio e lavoro. Frullate dagli impegni, le nostre anime correvano esauste, furiose e cieche fino a qualche settimana fa. Le cose, alla fine e nonostante gli avvertimenti di San Paolo, ci avevano posseduto. Le cose, le nostre cose, ci governavano. Nei pochi momenti di riposo si sentiva forte e chiaro un sentimento, quello del troppo. Serviva un tempo più lento, chiedevamo questa grazia. Che ci abbia esauditi?

Altro sentimento era la certezza che questa scelta bisognava farla insieme: fuggire dal nostro tempo e dai nostri spazi non era la soluzione. Quale servizio, quale testimonianza poter dare separati dal vortice che da tempo accelera i nostri passi fino a velocità disumane? Nonostante questo fosse un comune sentire, nessuno riusciva a rallentare.

Adesso che siamo tutti (o quasi) chiusi in casa, dentro quelle stanze che erano le nostre sicurezze ed adesso somigliano sempre più a prigioni, adesso ci siamo fermati. Qualcuno prova a correre ancora, tra videoconferenze e telefonate, qualcun altro cerca un modo per pagare l’affitto o per costruirsi una mascherina, mentre fuori l’aria si fa più pulita, le acque si riscoprono limpide e un creato tutto francescano sembra scoppiare dentro le città degli uomini.

C’è chi si chiede se alla fine – perché si immagina che una fine ci sarà – tornerà tutto come prima: la confortante frenesia, la corsa al consumo, la distruzione degli ecosistemi. C’è chi sente forte (per la prima volta così forte), il nostro essere specie, la nostra comune sorte di donne e uomini in piedi su questa piccola sfera tiepida che danza nell’universo gelido di stelle.

E c’è chi crede che questo tempo sia ricco di opportunità, figlio di un bisogno collettivo incapace di trovare la sua espressione in una azione volontaria. Crede in un cambiamento. In una nuova consapevolezza. Crede che la corda troppo tesa si è spezzata in un guizzo di dolore, che non ha regole ma che passerà. Crede che la sola intelligenza, forse, non può bastare all’Uomo.

“Allora il Signore rispose a Giobbe dal seno della tempesta, e disse: […] Dov’eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza. […] Su che furono poggiate le sue fondamenta, o chi ne pose la pietra angolare, quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia?” (Giobbe 38, 1-7)

Quale messaggio dovremo ascoltare, quale senso dovremo raccogliere, le parole di chi dovremmo seguire? Chi ci può parlare davvero dal seno della tempesta in cui ci troviamo? Cosa ci resta quando le difese immunitarie crollano, i pensieri girano a vuoto e le emozioni travolgono qualsiasi ragione? In questo deserto, nei nostri personali deserti, sentiamo meglio il cuore. Una porta di speranza, in fondo è questo ciò di cui abbiamo bisogno.

Arriva il vento sugli occhi,
si chiude in casa il cuore.
Arriva il vento sugli occhi
e non ha legge, non ha educazione.
Soffia improvvisa la notte
e spegne ogni bocciolo:
soffia la notte sugli occhi
ma occhi o cuore io non sono.

Arriva e fa spavento,
non crescono più i bambini.
Arriva e fa spavento
che quasi più non respiri.
Porta rabbia e affanno
e un senso d’abbandono:
porta affanno e spavento
ma spavento io non sono.

Arriva dritto ai pensieri
che agitano ogni momento,
arriva dritto ai pensieri
di far denaro col tempo.
Svuota di colpo le strade
per ragioni che ignoro:
confonde strada e pensieri
ma pensieri io non sono.

Arriva il vento sugli occhi,
risveglia cura e bellezza.
Arriva il vento sugli occhi
e porta consapevolezza.
Confida tu nell’Amore
per questa specie d’uomo:
spirito e volontà
e splendore io sono.

È tutto così strano, improvviso e devastante… – dice il mio amico medico. Io voglio ascoltare e osservare l’apparente disordine dei fatti, restare calmo e respirare: voglio attraversare il tifone, come suggeriva J. Conrad, per conoscerlo e sapere cosa ha da insegnarmi. Siamo qui per evolverci.