Con Francesco la Chiesa si spoglia di ogni potere. Resta il potere dei segni e la Voce dell’essenziale
La storia del mondo è quasi tutta riportata sulle pagine dei libri. Tutta la storia della Salvezza è invece scritta in un solo libro: la Bibbia. Forse qualche pagina la si può leggere anche nella vita di quanti, al momento di sciogliere le vele, hanno conservato la fede.
Eppure, «Venuta la sera» di un venerdì con esattezza quella del 27 marzo del 2020, la storia del mondo e la storia della salvezza si sono ritrovate a essere scritte in un’unica pagina, come se improvvisamente fossero diventate due gemelle. C’è altro da evidenziare: in quell’unica pagina sono stati incisi tutti i nostri nomi. Tutti siamo stati chiamati alla Salvezza. Questa è la verità che deve riempire di brividi il nostro presente e il domani che verrà.
Brividi che devono andare oltre lo steccato delle emozioni del momento. Quelle emozioni a pelle, capaci solo di far togliere il trucco dai nostri volti. Convertiamole subito in brividi che devono abitare il sangue che scorre nelle nostre vene per alimentare i nostri cuori. Dare ossigeno ai nostri polmoni. Attraversare i timpani delle nostre orecchie. Consentire alle nostre lingue di dare voce a un canto nuovo, le cui note siano la misericordia, il perdono, la corresponsabilità, la fraternità.
A questa straordinaria emozione che ha invaso la nostra anima, assegniamo il nome esatto, la giusta identità: conversione alla vita, chiamata alla Salvezza.
L’autore di questa pagina dalle dimensioni infinite è un uomo che è stato chiamato a guidare una barca da un posto fisso. Deve stare sempre a poppa. È stato scelto da altri uomini, chiamati cardinali. Lo hanno preso “quasi dalla fine del mondo”. Ha scelto di chiamarsi Francesco. È saggio. Anche un po’ testardo. Per alcuni forse troppo. Le folle l’hanno circondato, applaudito. A qualcuno ha dato fastidio.
Ieri, a tutti ha ricordato quell’Uomo chiamato Gesù Cristo. Quell’Uomo che ha portato e continua a portare su di Sé le sofferenze e il dolore dell’intera umanità. Ha scritto questa “nuova” pagina da un luogo che è la piazza più famosa del mondo, dove c’è un colonnato che lo abbraccia tutto. Come Lui stesso ha affermato: «È il luogo che racconta la fede rocciosa di Pietro». Francesco, da questo stesso luogo, ci ha testimoniato la Sua. Lo abbiamo visto da solo. Accompagnato dal fruscio di una pioggia che sembrava dare voce al Suo pianto. In una piazza silenziosamente deserta come mai ci era stata data di vederla.
Dallo schermo del nostro televisore seguivamo i suoi passi. Ci incoraggiava quel Suo avanzare in salita con un passo deciso. Eravamo con Lui, nella consapevolezza che Lui era tutti noi. Ci appariva determinato nel volere incontrare faccia a faccia il Volto di una Madre e di un Figlio per consegnare proprio a Loro il grido di un’umanità che si è trovata a sostenere:«una tempesta inaspettata e furiosa».
Vorrei riuscire adesso a tradurre quanto abbiamo visto e udito senza tradire ogni movimento del nostro Papa, ogni Suo sguardo. Tradurli trovando le parole più giuste per non dimenticare questa lezione di fede, di speranza, di amore. Ricrearne l’atmosfera è impossibile. Però, possiamo custodirla. Possiamo celebrarla. Rendere presente quell’ora, dove le lacrime di noi tutti sono state preghiera, per scriverla nel nostro intelletto. Tentiamo insieme di ri-presentificare. Di leggere con gli stessi occhi di ieri questa pagina della storia del mondo e della storia della Salvezza. Ogni parola, ogni sguardo di Francesco hanno fatto di Lui quell’Uomo la cui fede è riuscita a trasformare l’istante in eternità e l’eternità in un istante. Siamo stati inchiodati dalla forza della Sua fede.
La Sua voce era infinitamente pacata. La Sua meditazione, in ogni suo passo, sembrava consegnarci la carezza di Dio. Anche nei suoi richiami più forti che si presentavano come pugni allo stomaco. Una voce mite. Megafono dell’Amore di un Padre che ama tutti ma che ci chiede con passione che tutti siano amati: «Non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti pensando di rimanere sani in un mondo malato». A queste parole, piazza San Pietro era tutta bagnata dalla pioggia.
Dal centro del mondo cristiano ci giungeva l’immagine di una Chiesa pronta a purificarsi. A lasciarsi “lavare”da quell’acqua che cadeva giù dal cielo. A cambiare rotta. A non entrare nel vortice della paura o della disperazione perché la voce di Francesco ci presentava questa consolante verità: «Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del Tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa. È tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te e verso gli altri. Nessuno si salva da solo». Riuscirci non è un’utopia. In tanti ce lo stanno insegnando e testimoniando nel pieno di questa tempesta. Così Francesco, per incoraggiarci, ce li ricorda tutti: «Lo hanno compreso medici, infermieri, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, preti e suore. Loro stanno scrivendo gli avvenimenti decisivi della nostra storia». E lo stanno facendo:«Avendo cura di non seminare panico, ma corresponsabilità».
Dal cuore e dalla sapienza di Francesco ci giunge un altro consiglio per sedare questa tempesta il cui vento non cessa e le cui onde continuano a rovesciarsi sulla barca. «Da soli affondiamo. Abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite». E continua: «Il Signore ci sveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Con Dio la vita non muore mai. Ascoltiamo l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi». Affinché questo possa realizzarsi occorre: «Abbandonare per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso».
Le nuvole del cielo e la pioggia che cade sembrano voler benedire queste parole. Forse potrebbero consegnarci il pianto di Dio perché l’uomo da Lui creato, amato e redento ha tentato di sfidare a morte il Suo creatore provando a uccidere la vita. Un tremendo duello.
Il Coronavirus genera il duello tra la morte e la vita. Ecco perché Francesco in punta di piedi va ai piedi di Maria. Lei è la Madre della Vita. Colei che ha generato Colui che ha vinto la morte, Colui che ci ha donato la vita eterna. Ai Suoi piedi sta in Silenzio. A mani giunte. Quasi in ascolto ubbidiente. La nuda semplicità di un figlio che si affida alla Mamma. Francesco lascia la Madre per raggiungere il Figlio. Il Figlio di Maria. Nudo. Inchiodato. Francesco china per qualche secondo il capo. Ne bacia i piedi. La piazza è illuminata. Francesco scompare dai nostri schermi.
Su questa pagina meravigliosa adesso vediamo soltanto il Cristo da solo. C’è solo Lui. Al centro del mondo. Il Cristo Crocifisso. Cristo Re e Signore dell’universo. Ai Suoi piedi una lampada che arde. Mi ricorda la fede che ha attraversato e illuminato tutta la storia dell’umanità: quella di Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Pietro, Paolo, Tommaso, Giuseppe La Pira, Aldo Moro, don Giuseppe Dossetti, don Pino Puglisi, dei monaci di Tibhirine, madre Teresa. di Calcutta, dei monaci di Tibhirine. Di chi è morto per il Coronavirus, di chi sta lottando per ucciderlo.
Mai avrei immaginato che la televisione, improvvisamente, potesse trasformarsi in una piccola cappella domestica. Lo è stata quella sera per milioni e milioni di italiani. Cala lentamente la notte. Dai vetri del mio balcone osservo il cielo: ha lo stesso colore del cielo di Roma. Francesco guarda ancora il Suo Crocifisso. Stando in piedi. Con pazienza: sta sotto il Suo sguardo, rimanendo ritto. I due Pastori si guardano. Si parlano. È un dialogo. Senza parole. Il Pastore della Chiesa Cattolica, l’uomo che è stato chiamato a guidarla “quasi dalla fine del mondo”; adesso, dal centro del cristianesimo, contempla il volto del Pastore. Quello vero. Quello bello. Quello che ha dato e continua a dare la vita per ogni uomo. È tutto spoglio. Tutta la Chiesa sembra essersi spogliata di ogni possibile segno di potere. Questa è la Chiesa di Cristo, la Chiesa di Francesco, la Chiesa al tempo del Coronavirus. Don Tonino Bello direbbe: «Abbiamo il potere dei segni». Continuano a parlarci. Unico canale: il silenzio. La voce dell’essenziale.
Dallo schermo ritorna improvvisa l’immagine del Crocifisso. La pioggia battente lo ha bagnato. La vediamo tutti scendere lentamente. Attraversare quel corpo nudo. Lo rigano come delle lacrime che dagli occhi scendono verso il viso e ne bagnano tutto il corpo. Le gocce di pioggia s’incontrano con quelle di sangue impresse già da secoli nella scultura. Tutto sembra volerci raccontare, gridare che l’Amore del Cristo continua. Dura in eterno. Tutti chiamati alla Salvezza. Francesco da una semplice sedia. A mani giunte. Senza zucchetto. Adora Nostro Signore.
Il tempo del silenzio si conclude. È spezzato dal suono a festa delle campane. Quel suono mi fa pensare a un invito: essere Chiesa in uscita. Forse mai la Chiesa lo è stata come in quest’ora da una Piazza San Pietro deserta. Ma riempita dal suo Papa, dall’Eucarestia, dal Volto del Crocifisso e dallo sguardo Madre di Dio. Il suono delle campane fa eco a quello delle ambulanze. Segni eloquenti: la Chiesa in uscita abbraccia la Chiesa ospedale da campo. Sarà questa l’identità della Chiesa.
Francesco, profeta del nostro tempo, ce lo aveva detto. Più volte. La Chiesa continua il suo cammino. Le ultime immagini sono un potente testamento consegnato ai posteri. Il Papa arranca. Curvo e zoppicante. L’ostensorio si inclina. Francesco pare stia per cadere. Una Via crucis dal vivo. In diretta. Senza alcuna drammatizzazione. Una Via Crucis che ci prepara alla Resurrezione. Perché a vincere sarà L’Amore.