Le parole di Michele Gennuso. Dobbiamo migliorare, cambiare le priorità, la scala dei valori, nessuno escluso. È questa la più grande lezione di cui dobbiamo fare tesoro: la “globalizzazione della fragilità” che ci rende tutti identici, accomunati da un’unica impronta che segna profondamente l’essere di ogni Creatura

Ci sono delle parole che continuano a risuonare nella nostra quotidianità e che ci fanno abituare non tanto al loro triste significato quanto piuttosto alle azioni che ci impongono.

Contagio, malattia, morte, distacco, distanza, necessità, silenzio, vuoto.

Tutte hanno alla fine un unico denominatore che è la paura, che talvolta si trasforma in ansia, quel moto irrazionale che si scatena di fronte a qualcosa di non conosciuto, di imprevedibile, di non desiderato che potrebbe succedere rendendoci più complicata la vita.

Eppure la vita avviene, continua ad avvenire anche se nel dolore, anche se nella difficoltà, anche se nella paura del contagio, della malattia, della morte, del distacco, della distanza, del silenzio e del vuoto che abbiamo tutti sperimentato in questi giorni.

Ci alimentiamo di speranza. Tutti!

Speriamo che passi presto, speriamo che tutto finisca presto, speriamo che non mi ammali, speriamo che non si ammalino le persone a me care, speriamo che trovino un vaccino, speriamo che pensino a come far ripartire l’economia, speriamo.

Questa nostra condizione di persone eternamente proiettate al futuro, a quello che sarà, a quello che dovremo diventare, a quello che ancora non ci appartiene e che proviamo a rendere possibile.

Eppure oggi più che mai ci viene chiesto di vivere il presente.

Prendere il volto del presente, avvicinarlo al nostro volto e osservarlo da vicino, specchiarci in quello che siamo adesso, tutti!

Non ci sono più distanze. Sebbene siamo “condannati” alla distanza mai come adesso siamo intimi, perché l’intimità è sentire l’altro parte di sè.

E se mi commuove il dolore di chi sta morendo solo, soffocato (perchè ahimè di questo si tratta), se mi rattrista lo scorrere di una fila di camion dell’esercito carichi di bare, se mi preoccupa la salute di tanti operatori sanitari che stanno fronteggiando (come sempre) una emergenza inimmaginabile, se gioisco di fronte alla notizia di una estubazione e di una guarigione, non sono più solo, non sono più distante, sono parte integrante di una umanità ferita, scossa, sconvolta, disorientata, ma presente, viva, vivace, solidale.

Ho visto il sorriso in molti colleghi medici e infermieri, sì il sorriso nella stanchezza, nel sudore, nelle pieghe del viso segnato dall’elastico stretto della mascherina. Ho visto le lacrime di soddisfazione di tanti volontari che si sono messi a disposizione per lenire le fatiche di chi fa più fatica in questo momento di dolore perché già portatore di una disabilità, di una fragilità, di un eccesso di anni (l’età) che ho voluto appositamente parafrasare perché in questi mesi, soprattutto all’inizio, la parola anziano è stata troppo violentemente e superficialmente un lasciapassare per la morte usato come ansiolitico per i cittadini che dovevano essere rassicurati!

Ci sono altre parole che risuonano nel nostro quotidiano, non facciamo l’errore di non saperle più riconoscere e declinare.

Solidarietà, sguardi, vita (con il suo valore intrinseco “a prescindere da”), sostegno, rete, “ci sono”!

È una grande prova questa, è come il fuoco nel crogiolo che mette a dura prova gli oggetti placati in oro, è una opportunità per riportare al centro il nostro essere umanità convinti che il buon Dio non salva dal dolore, ma nel dolore; sicuri che anche in questa occasione dobbiamo fare la nostra parte e che andrà tutto bene anche se molti nostri cari sono morti, anche se abbiamo scoperto la fragilità dei nostri massimi sistemi economici e sanitari e politici, anche se nella nostra ipertrofica grandezza abbiamo dovuto sperimentare l’umiliazione di essere piegati da qualcosa di piccolo, microscopico, invisibile.

Umiltà è verità!

Riconoscersi umili ci rende consapevoli di quanto ancora dobbiamo migliorare, di come forse (anzi senza forse) dobbiamo cambiare le priorità, la scala dei valori, che non riguarda i singoli ma tutti, nessuno escluso e questa è sicuramente la più grande lezione di cui dobbiamo fare tesoro: la “globalizzazione della fragilità” che ci rende tutti identici accomunati da un’unica impronta che segna profondamente l’essere di ogni creatura Umana.

Sono padre, ho quattro figli e in queste settimane osservo spesso i miei figli e penso a tutti i bambini, i ragazzi e i giovani segnati da un evento che sicuramente svilupperà nuove dimensioni.

Eppure questi bambini stanno assistendo a qualcosa di straordinario della cui gravità probabilmente non si rendono giustamente conto! Come in realtà non riusciamo a rendercene conto profondamente nemmeno noi adulti per quanto vogliamo fargli credere di avere tutto sotto controllo! Abbiamo quindi bisogno della loro semplicità e della loro speranza che non è abbandono irrazionale ma scelta coraggiosa per imparare ad incidere nelle pieghe di questa vita che non va sempre come vogliamo! In queste settimane abbiamo più e più volte ripetuto #AndràTuttoBene: anche io l’ho scritto e detto e non è per regalare una illusione o addolcire la pillola ma è per chiedere una mano, a tutti! Perché il Bene va costruito anche quando si soffre, anche quando si sperimenta il dolore e la mancanza, perché il Bene significa anche consolazione e cura!

PS. Mi raccomando, l’emergenza non è ancora finita. Restiamo a casa!