Vittorio Feltri è un giornalista italiano, direttore di diverse testate e attualmente di “Libero”. Anticomunista, di area liberale riconducibile al centrodestra variamente declinato nel corso di questi ultimi decenni, dall’era berlusconiana a quella sovranista, ha sempre fatto parlare di sé. Spesso per i titoli a effetto e ancora più spesso per le sue dichiarazioni in libertà, diritto garantito costituzionalmente.
Diciamo anche che il suo essere guascone della penna e della parola lo ha tinteggiato come una sorta di anarchico controcorrente per i fautori di un linguaggio tagliente, che per molti sarebbe più prosaicamente da considerare razzista e xenofobo.
Il punto, ancora una volta, è quell’antimeridionalismo neppure tanto velato o strisciante che continua ad alimentare la retorica dei “terroni” brutti, sporchi e cattivi ovvero cialtroni, nullafacenti, nullatenenti, ingordi. Ingordi di risorse, di aiuti, di sostegni da uno Stato centrale che, così facendo, nutre la parte malata del Paese a scapito della parte buona, quella che nella retorica citata appartiene ai “polentoni”.
Il punto controverso della questione è proprio quello di alimentare stereotipi che sanno ancora di naftalina e borbonismo, di spirito unitario su calessi e cavalli bianchi e su ritardati rigurgiti fascisti e antifascisti. L’Italia è una nazione relativamente giovane ma, come si dice, “vecchia dentro”, proprio come quei ragazzini che si portano dietro una vita che non è la loro, che appaiono già vecchi prima ancora di iniziare il loro cammino puberale.
Le ultime esternazioni fuoriescono dalla sua partecipazione a una trasmissione serale, condotta da un altro giornalista, Mario Giordano, anch’egli legato a doppia mandata al direttore Feltri, non foss’altro per gli ammiccamenti palesati, sebbene si sia poi dissociato.
Feltri, sull’annuncio del governatore della Campania circa la possibilità di chiusura dei confini regionali laddove le regioni del Nord dovessero ripartire prima della fine del lockdown, ha precisato: «Io credo che nessuno di noi abbia voglia di trasferirsi in Campania. Non ce l’ho con la Campania, perché dovremmo trasferirci in Campania? A fare che cosa? I parcheggiatori abusivi? Mentre, invece, i campani, e ripeto il dato ufficiale è 14mila ogni anno, vengono a Milano per farsi curare: vuol dire che Milano e la Lombardia non fa loro così schifo». E ha aggiunto: «Il fatto che la Lombardia sia andata in disgrazia per via del coronavirus ha eccitato gli animi di molta gente che è nutrita di invidia e di rabbia nei nostri confronti perché subisce una sorta di complesso d’inferiorità. Io non credo ai complessi d’inferiorità, io credo che i meridionali in molti casi siano inferiori». Parole che gli sono valse critiche indignate da più parti, minacce di azioni legali per istigazione all’odio, appelli all’Ordine dei giornalisti che sta valutando il danno d’immagine, edicole che hanno deciso di non vendere più il suo giornale – lui che delle copie vendute ne ha sempre fatto un vanto, numeri alla mano – e pure una petizione su change.org per chiederne la radiazione.
Nella sua replica su Twitter ha ribadito: «Mi pare del tutto evidente che il Sud e la sua gente siano economicamente inferiori rispetto al Nord. Chi non lo riconosce è in malafede. L’antropologia non c’entra con il portafogli. Noto ancora una volta che le mie affermazioni vengono strumentalizzate in modo indegno», definendosi poi, in altre dichiarazioni, amante del dialetto napoletano, non razzista e non antimeridionale.
Entriamo, come spesso accade davanti ai luoghi comuni e ad argomenti vecchi di secoli, nelle questioni messe sul tappeto: perché si riportano, tra titoli e dichiarazioni, temi mai sopiti? Perché l’Italia è un paese senza memoria, pur con una storia tragica alle spalle. Non serve impararne i passaggi più importanti perché l’alfabetizzazione cozza con una cultura della superficie e con l’arretratezza strutturale, economica, culturale (sempre quella), infrastrutturale, sociale che poco tempo ha, rassegnata a sua volta, per colmare i gap consegnati da scelte, sovraniste sì, che dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti hanno determinato una industrializzazione prima e una terziarizzazione poi a due velocità. Al Nord un percorso intenso, al Sud la parruccona burocrazia. Ebbene, Feltri sbaglia o ha ragione? Nessun meridionale, pur meridionalista, lo contraddirebbe nei contenuti: il Sud non ha saputo scrollarsi di dosso la sua atavica corruzione, il suo insaziabile servilismo, la sua spinta collusiva con la criminalità organizzata e la sua incapacità di immaginare; già, soltanto quello: immaginare qualcosa di diverso da una cassata, un’arancina e una passeggiata in riva al mare. Immaginare piuttosto politiche di sviluppo che non fossero estemporanee, che volessero investire tutte le risorse europee anziché rispedirle al mittente, che volesse aprire nuove strade fatte di competenza e non di connivenza, di meritocrazia e non di nepotismo. Questo stride con una massa ingente fatta di persone oneste che odiano financo se stesse per non aver detto “basta!”; sono studenti – mettiamo da parte la scelleratezza dei viaggi di ritorno in periodo Covid – e imprenditori di ottima fattura, professionisti capaci, cultori e veicoli di cultura, pur tra le pieghe di una scolarizzazione disarmante e di un analfabetismo funzionale dilagante, di giovani fermi alla licenza media e capaci al più di navigare tra le foto dei social. Ma ci sono dirigenti d’azienda, funzionari integerrimi, militari, ricercatori, insegnanti, personale amministrativo che sbarcano davanti al Duomo di Milano come davanti alla Statua della Libertà a Ellis Island un po’ di tempo fa. Si sono spostati per andare a ingrossare e ingrassare il Nord, lo stesso di cui parla Feltri. Che in queste settimane di tragedia sociale e sanitaria ha perso vite e affetti, nel cuore del miglior sistema sanitario del Paese. Al Sud, però, ancora una volta briciole, disaffezione, razzismo. La rabbia basata sugli stereotipi del Secolo breve non rende giustizia a chi è e fa il giornalista; non rende giustizia alla disperazione. Già, perché finanche i terroni sporchi, brutti e cattivi vorrebbero il loro Sud centro del Mediterraneo, base logistica per vie della Seta e di tanti altri “tessuti”, terra di confine verso l’orizzonte nuovo della ricerca, dell’università, della sanità; lontano da abusivi, millantatori, brutture e bruttezze architettoniche, urbanistiche, burocratiche. E non sempre la magia dello statuto speciale può essere parafulmine per ogni strale. Anzi, forse non lo è mai stato con i suoi tanti articoli lasciati a impolverarsi dentro al cassetto. Per criticare il piatto non occorre sputare in faccia al cameriere; bisogna dare addosso al cuoco, che poi farfuglia intrugli anche al Nord… La differenza sta nelle cucine: lussuose e attrezzate su, con un piano cottura a gas e poche pentole giù. Vallo a spiegare ai clienti. A Feltri non serve far parlare di sé, ma si ostina a farlo.