Circa una settimana fa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel corso di un’attesissima conferenza stampa, ha illustrato le strategie della cosiddetta Fase 2, quella di un graduale ritorno alla normalità che prende il via oggi 4 maggio, dopo due mesi di lockdown, con milioni di italiani chiusi in casa e lo stop a gran parte delle attività produttive.

Il premier l’ha definita la “fase di convivenza con il virus”, insistendo sulla necessità di un ulteriore sforzo collettivo per evitare nuovi contagi. Immediata la delusione e la protesta di molte categorie di persone. Tra i dissensi manifestati, a brevissima distanza di tempo dalla conclusione della conferenza stampa, quello della CEI, per il mancato via libera alle celebrazioni con il popolo, dato quasi per certo. “I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. La Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale”, questo uno dei passaggi più duri del documento diffuso subito dopo la diretta tv del premier. Legittimo lo smarrimento di tanti italiani, di tanti fedeli, disorientati e confusi tra il voler ritornare a condizioni di sospirata normalità e paure e timori di nuovi contagi.

La questione è delicata e indubbiamente motivata dal parere del comitato tecnico scientifico che affianca il governo. È di questi giorni la testimonianza su Famiglia Cristiana di don Claudio Del Monte, cappellano presso una clinica di Bergamo, e parroco in un quartiere a sud della città. Don Claudio pone alla riflessione comune alcuni interrogativi riguardo le reali possibilità di contingentare gli ingressi in chiesa, di sanificare gli ambienti, almeno le panche, sottolineando altresì le difficoltà annesse alla distruzione della comunione, chiosando “siamo vicendevolmente capaci di compiere ripetutamente questi gesti?”.

Senza voler entrare nel merito, comprendendo le legittime aspettative, le legittime ansie e le legittime perplessità di tutti, credo che, forse, in questa delicata fase di transizione, sia più opportuno fermarsi a guardare ciò che la pandemia ci ha dato piuttosto che ciò di cui ci ha privato. Specialmente in ambito ecclesiale.

Indubbiamente siamo stati privati della possibilità di accostarci all’Eucarestia, “fonte e culmine di tutta la vita cristiana”, ma abbiamo avuto la grazia di riscoprire e sperimentate la nostra vocazione di Chiesa domestica. “Salutate la Chiesa che si riunisce nella loro casa” dice san Paolo nella Lettera ai Romani riferendosi proprio alla “Chiesa domestica” ove si radunavano i cristiani a celebrare l’Eucaristia. Oggi, come allora, lo spazio vitale di una famiglia si è trasformato in tempio, luogo sacro ove Cristo sta alla porta e bussa, entra e siede alla stessa mensa.

Come chiesa locale siamo stati accompagnati in questo cammino di riscoperta ecclesiale dai sussidi predisposti dal Servizio diocesano per la Liturgia, con il competente, prezioso e coinvolgente contributo di don Domenico Messina:

  • il sussidio “Ci sollevi la tua misericordia” ha fornito schemi di preghiera personale o familiare per le domeniche di quaresima e per le solennità di San Giuseppe e dell’Annunciazione;
  • il sussidio “Farò la mia Pasqua da te con i miei discepoli” ci ha accompagnati nel cammino della settimana santa: quanta commozione nel fare della propria casa il cenacolo della lavanda dei piedi e del pane spezzato, il Golgota del sacrificio d’Amore, il giardino della resurrezione, nell’intimità di un proprio Angolo della Bellezza con le icone del Cristo e della Santa Madre di Dio, il libro dei Vangeli e una simbolica lampada.
  • “Pace a voi” è il sussidio per la preghiera familiare in questo tempo di Pasqua fino a Pentecoste. Con i ritmi e le vicende di questo strano periodo, abbiamo spalancato e spalanchiamo le porte del nostro cuore e delle nostre case a Cristo a cui diciamo, da fratelli, “Vieni, Signore. Entra da noi e cena con noi e noi con te!”.

Liturgie via streaming, catechesi quotidiane, rubriche a cura dei servizi diocesani continuano ad accompagnarci in questo nuovo modo di essere Chiesa, nel fiorire di una nuova dimensione di famiglia orante, come nella rubrica “Sto alla porta e busso” che propone momenti di incontro e preghiera familiare al tramonto, all’ora del vespro, come canto di lode e ringraziamento per i doni ricevuti, benedizione della mensa, dei figli, dei nonni, richiesta di grazia…

E così se la pandemia ha imposto restrizioni, interrotto abitudini, messo a nudo certezze consolidate come quella del ruolo del sacerdote, dell’Eucaristia domenicale, dell’essere comunità, ha riconsegnato a ogni genitore la responsabilità di essere il primo catechista dei propri figli, nell’esempio, nel servizio caritatevole a casa e verso chi è nel bisogno.

La pandemia ha portato le famiglie a riscoprire la recita del Rosario come aiuto concreto per attraversare le avversità e le conseguenze di questo tempo: raccogliendo l’invito del Papa, nel mese di Maggio, alcune famiglie reciteranno il S. Rosario dai santuari mariani della diocesi, chiedendo a Maria l’atteso ritorno alla normalità.

Nella speranza condivisa di poter ritornare tutti nelle nostre chiese, fare Eucarestia con le nostre comunità, ritrovare il piacere di incontri reali, non disperdiamo il dono ricevuto: la pandemia passerà, la vocazione di essere chiesa domestica speriamo ci accompagni sempre nei nostri cammini di fede.