Un’altra giornata della legalità, pur tra le restrizioni da covid-19, è in agenda per le celebrazioni di rito, ancor più oggi sui social. Un rito fondamentale per la memoria che, tuttavia, allontanandosi dal clamore e dalla costernazione della tragedia vissuta quasi come espiazione collettiva, si è via via sciolto nella vuota ritualità. Vuota di contenuti, ma soprattutto di esempi.

E questo sia per il senso di illegalità diffuso tra i vari strati sociali, sia per lo scollamento tra questi e le istituzioni, sia per l’onda lunga degli scandali che hanno travolto l’antimafia e sia, infine, per la dilagante corruzione, malapianta mai estirpata dal costume italiano e in grado di demolire fiducia e speranze in un mondo migliore. Tutto questo porta a scuotere la testa, a recitare il motto gattopardiano, a ritenere che tanto, tutto e tutti sono la stessa cosa.

Un pessimismo spicciolo che non fa bene a nessuno. A cominciare proprio da quelle istituzioni che celebrano questa giornata. Sullo sfondo, poi, il rapporto malsano tra queste ultime e Giovanni Falcone e, con lui, i tanti caduti per mano mafiosa perché lasciati soli, abbandonati per calcoli spietati e squallidi giochi di potere, tra collusioni e trattative.

Cosa cambia oggi rispetto allo scorso anno, rispetto a ieri? Forse poco. Il malaffare inguaia il pil, incidendo sulla ricchezza nazionale; intorno paesi e città continuano ad essere immersi tra le brutture morali e urbanistiche; la logica del “fregacompagno” (che può essere un ente come anche il socio o il vicino di casa) rimane ancora appesa nelle nostre case, pur tra marcate e differenti consapevolezze.

Certo, consapevolezze nuove sono venute fuori timidamente e poi sempre più insistentemente nel corso di questi anni, grazie anche a un meraviglioso lavoro e a un enorme sforzo fatto dalla scuola a ogni latitudine, grazie anche alla nuova cultura della denuncia che ha abbracciato funzionari pubblici, lavoratori privati, imprenditori onesti che non vanno lasciati soli, come purtroppo spesso accade a cominciare proprio dallo Stato. Ma non basta.

Se legalità non è passerella, modalità rituale per ripetersi gli stessi concetti; se legalità non è teatro che ha una scena e un dietro le quinte; se legalità è sostanza e non forma, dobbiamo immaginarla diffusa a tappeto nel quotidiano. Sembrerà banale davanti al sacrificio della vita dei tanti servitori che oggi, e non solo oggi, celebriamo, ma a pensarci bene è proprio il senso del loro insegnamento: non gettare la carta per terra, sgrida tuo figlio e non il professore, non pagare i tuoi dipendenti quanto si dà a un bambino per un gelato, non guidare distrattamente, non fare la cresta sulle forniture dell’ufficio, non sentire ragioni quando ti chiedono di violare la legge. E poi, crescendo, dal basso sempre più su. Fino a dire no senza tentennamenti.

Non dobbiamo essere eroi, ma noi stessi, persone normali che non devono lesinare protezione. Perché il cambiamento parte dal singolo cittadino e, in parallelo, dalle stesse istituzioni, in un abbraccio morale e non mortale. Basta solo chiudere gli occhi ed è possibile vedere Giovanni Falcone annuire insieme alla moglie Francesca Morvillo, a Paolo Borsellino, ad Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Basta non voltarsi dall’altra parte per vedere ancora il loro sorriso compiaciuto.