La riflessione di Giuseppe Maranto da Strasburgo

La mia è la generazione Erasmus, quella che grazie ai programmi di scambio europei, alla libertà di movimento all’interno dell’Unione Europea e ai voli low-cost ha potuto, più della precedente, scoprire, conoscere e amare, culture e luoghi lontani dal paese di nascita. Questa enorme opportunità ha consolidato, molto più delle politiche economiche comuni, un’appartenenza a questo grande terreno di gioco che è la UE.

Tanti sono quelli che, dopo un Erasmus o a un certo punto della loro carriera universitaria o lavorativa, hanno deciso di fare le valigie e stabilirsi altrove. Tra questi ci siamo anche io e mia moglie Laura, entrambi di Cefalù, che da ormai otto anni ci siamo stabiliti a Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia, in Francia. Qui lei ha completato i suoi studi e avviato la sua carriera professionale e io ho finalizzato e perfezionato il mio percorso nell’artigianato. Da quattro anni ho avviato la mia impresa di falegnameria ed ebanisteria (www.maranto.eu), costruito la mia clientela e la mia rete professionale.

Io e Laura qui abbiamo stretto tante nuove amicizie, oltre che visitato in lungo e in largo tutti i dintorni, tanto da rendere questa porzione di Europa un po’ casa nostra.

Strasburgo, città verde, colorata e ricca di storia, seppur dotata di tutti i servizi, conserva una taglia umana. Ci si sposta molto in bici lungo i numerosi canali alla scoperta di monumenti storici di indiscutibile fascino: dal quartiere storico medievale della Petite France con le case a colombaia, fino al quartiere delle Istituzioni Europee dove hanno sede il Consiglio d’Europa, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e il Parlamento della UE; l’imponente Notre Dame de Strasbourg poi, gioiello gotico che non finisce mai di stupire, coi suoi 142 metri domina tutta la città e tutta la pianura del Reno.

Insomma ci troviamo bene e, seppur qui abbiamo avuto tante occasioni di crescita umana e professionale, credo che molto probabilmente avremmo trovato delle condizioni favorevoli anche se fossimo andati altrove in Italia o in Europa.

Mi piace pensare questa cosa, perché vuol dire che potrei partire anche domani per un altrove che mi rimetterà in difficoltà, smonterà le mie certezze e farà uscire dalla mia zona di comfort per permettermi di nuovo, come tanti anni fa, di far emergere la parte più risoluta e battagliera della mia personalità.

Nato a Petralia Sottana, fino ai 23 anni ho abitato tra Polizzi Generosa, Cefalù e poi Palermo da fuori sede. All’epoca degli studi universitari, vivevo con entusiasmo e impegno sincero diverse responsabilità associative diocesane (vice presidente del settore giovani di Azione Cattolica, animatore del Movimento Studenti di Azione Cattolica, il MSAC, e animatore giovanissimi in parrocchia). In quel formidabile periodo di crescita umana e spirituale, arricchito da incontri, esperienze e relazioni che porterò sempre nel cuore, sentivo tuttavia un’inquietudine di fondo data dal lento avanzare del mio percorso accademico.

La cosa più inquietante era che nonostante avessi constatato già dai primi mesi di università che quella non poteva essere la mia strada, ho cocciutamente perseverato, senza riuscire a ottenere dei risultati soddisfacenti. Quello che mi teneva in quella situazione era un complesso insieme di fattori frutto di speranze della mia famiglia, e di una visione molto diffusa secondo cui la realizzazione dell’uomo è il conseguimento della laurea (intesa innanzitutto come pezzo di carta), la gloria fugace che ne deriva negli inevitabili festeggiamenti, e il sicuro posto di lavoro di responsabilità ben retribuito che ne dovrebbe conseguire. Il contesto sociale ed economico poi non era dei più vivaci, anzi ricordo l’immobilismo ambiente, il fatalismo diffuso e l’attitudine particolare a ritagliarsi un posto tra i vinti Verghiani. Si era come condannati a file interminabili e inspiegabili in segreteria, agli appelli organizzati secondo l’umore del professore, a una fantasiosa sovrapposizione degli orari delle lezioni, a delle aule super affollate. Questa sorte la si subiva inoltre nella vita di tutti i giorni con tempi di attesa biblici alla posta o dal medico, ad una mobilità a singhiozzo a guisa di gioco dell’oca dal percorso ogni volta diverso in relazione alle frane, agli smottamenti e ai crolli, a dei cantieri pubblici dalla durata infinita.

Questo insieme di fattori con la loro vera o presunta carica di negatività mi hanno spinto a cambiare radicalmente la traiettoria imboccata fin lì, a lasciare le mie sicurezze alle spalle e a rimettermi totalmente in discussione andando a cercare quelle energie e quella creatività proprie di chi è in bilico e pronto a fare un nuovo salto. Ne sono convinto, se non avessi osato, avrei prolungato ancora per diversi anni quella situazione tanto nefasta.

Auguro a tutti dunque di darsi questa possibilità di scoperta di se stessi, e se per farlo bisogna reinventarsi e andare all’altro capo del mondo, e sia, non vi trovo in questo particolare danno per lui o per la sua “terra”. Perché se una “terra” sa essere attrattiva, per uno che se ne va ce n’è almeno un altro che arriva; e questo è bellissimo perché permette di far evolvere il contesto sociale, di arricchirlo di capacità e visioni differenti.

Piuttosto che di “terra” mi piace parlare di territorio. Quello della “propria terra” è a mio avviso un concetto vago e astratto, buono per i facili e vuoti romanticismi dell’esule speranzoso di rientrare e dell’abitante fiero che vedrà in quella “terra” sempre e comunque il posto più bello al mondo, senza saperne vedere i difetti, e non facendo dunque nulla per correggerli.

Un territorio è invece una zona geografica definita, con delle particolarità proprie delle quali fare un punto di partenza per lo sviluppo e il benessere degli abitanti. Un territorio si impara a conoscere, lo si può difendere, lo si può animare, in maniera efficace e mirata. É dunque un’entità circoscritta, concreta e identificabile.

La sfida per un territorio è dunque quella di essere attrattivo economicamente e socialmente, di favorire cioè la creazione di impresa, proporre e accompagnare attività culturali, offrire ai cittadini servizi e possibilità, assicurare solidarietà a chi è in difficoltà e saper far emergere e accompagnare tutte le buone volontà nel campo associativo e nell’impegno civile o politico.

Questa cosa si costruisce insieme, cittadini e istituzioni pubbliche e religiose, giorno per giorno.

Si costruisce esigendo la fattura quando si va dallo specialista o dall’artigiano, si costruisce mettendo in valore i prodotti locali, comprando da chi non cede alle minacce delle mafie, non svendendo il proprio voto. Si costruisce chiedendo sobrietà dalla classe politica regionale, dimostratasi più volte inefficace e incapace.

Si costruisce esigendo dai datori di lavoro una paga giusta e intera, corrispondente al numero di ore lavorate. Si costruisce ripudiando il lavoro nero, a tutti i livelli e per tutte le somme in gioco.

Chi se ne va, lo fa anche perché stanco di essere sfruttato e non valorizzato. Colui che dovrebbe venire a impiantarsi come potrebbe accettare queste condizioni così indegne?

Quello che a me scandalizza profondamente e che quindi non mi permette di immaginare un ritorno, sono il silenzio e l’accettazione generale di fronte a queste tematiche.

Tanti, tantissimi sono stanchi di questo stato di cose e sarebbero pronti a essere attori di una società diversa, tuttavia, le loro istanze non riescono ad essere maggioritarie. Ci sono tanti altri che purtroppo non vedono il male che si fanno ad accettare condizioni di lavoro denigranti, a concepire che un viadotto possa cadere e mai ricostruirsi, ad accettare che il litorale sia vituperato e privatizzato. Tanti, troppi, continuano a passare giornalmente accanto a situazioni di degrado senza mai pensare che federando energie positive, si potrebbe agire direttamente, senza attendere che sia lo stato, la regione, il comune a doversene occupare.

L’attuale momento storico è molto particolare, ci ha tutti colti impreparati. Il virus oltre alla scia di decessi e inquietudini rischia di lasciarsi alle sue spalle un deserto economico e sociale. Per certi versi rappresenta per tutti un reset, un ritornare al punto di inizio. Il domani va inventato a Palermo come a Roma, Parigi o Londra. Chi saprà fare le scelte giuste e risponderà con creatività alla sfida saprà gettare le basi per il domani che si annuncia dappertutto difficile.

Per evitare che questa occasione di raccontarmi sia solo una sorta di sfogo personale e perché ci sia anche un aspetto positivo e propositivo, mi permetto dunque qui di lanciare delle idee per il nostro territorio (si, lo sento sempre mio nonostante le migliaia di km di distanza!).

In questa fase storica si è capito quanto internet e le comunicazioni a distanza siano il volano per lo sviluppo futuro (smartworking, telecomunicazioni, app di controllo ma anche di organizzazione e razionalizzazione degli spostamenti ecc.). Creare dunque una rete internet efficiente e colmare il digital divide compensando l’analfabetismo informatico su tutto il territorio dovrà essere una delle priorità. Favorire poi nello specifico la creazione di un polo di sviluppo informatico e delle strutture che accompagnino il lavoro e la collaborazione informatica a distanza potrebbe essere un’attrattiva per tante aziende e tanti posti di lavoro che potrebbero domani crearsi o spostarsi dalle regioni del nord e perché no dall’estero verso la Sicilia, verso Cefalù e le Madonie. Credo che saranno tanti i siciliani, oggi emigrati, che dopo questa fase di allontanamento da tutto e tutti avranno voglia di tornare, di restare e di costruire qualcosa nel loro territorio, nel loro paese. Sarà un’occasione da non perdere! Bisognerà quindi accompagnare questi rientri e favorire con tutti i mezzi l’iniziativa imprenditoriale.

Sul lungo periodo andrebbero riscoperti e valorizzati i lavori artigianali, costituendo una filiera di formazione scuola lavoro degna di questo nome che permetta di rivalutare l’importanza e la qualità dei mestieri manuali oggi essenzialmente relegati a essere presentati ai presepi viventi come una sorta di retaggio desueto di un mondo che non c’è più.

La parità uomo donna, infine, che va sostenuta come base per tutte le politiche sociali, con la creazione di asili nido gratuito su tutto il territorio per permettere alle mamme di entrare serenamente nel mondo del lavoro e ai nonni di restare attivi nella vita sociale della comunità.

Consapevole che queste mie proposte e riflessioni sono solo una goccia nell’oceano, chiudo questa mia lunga missiva ringraziando Percorsinodali per avermi dato la possibilità di contribuire al loro lavoro.

Da Strasburgo un abbraccio virtuale a tutti voi!