La pandemia ci ha fatto scoprire nudi, fragili, incerti. La tentazione di riprenderci le nostre vecchie false sicurezze è forte

Mio figlio di un anno e mezzo in preda ad una crisi di “rabbia disperata” perché la sorellina più grande gli aveva strappato dalle mani il pupazzetto preferito, quello che abitualmente lo rassicura nei momenti di maggiore difficoltà. Ieri sera, mentre osservavo questa scena di ordinaria “vivacità familiare” mi è venuta alla mente una riflessione un po’ diversa dal solito.

Forse il paragone è ardito ma ho pensato che, in fondo, quello che ha provato Mattia è quello che, più o meno, ha sperimentato ciascuno di noi in questa pandemia. Improvvisamente ci siamo sentiti strappare violentemente dalle mani le nostre certezze: questo ci ha fatto scoprire nudi, fragili, incerti appunto. La prima reazione è stata di paura un po’ per tutti… poi, piano piano, ha iniziato ad emergere la rabbia: a volte soffocata ed asfissiante, altre volte violenta o disperata, altre ancora frustrata e impotente.

Avverto tanta rabbia in giro, una rabbia che si traduce ora in violenza verbale, ora in una ricerca quasi ossessiva dei colpevoli di questa grave situazione: tutta colpa dell’incompetenza dei politici, di alcuni Stati che non avrebbero fatto il proprio dovere, del Sistema Sanitario che ha mostrato le proprie lacune, di alcuni medici… Piano piano, al posto di quella solidarietà, forte, che ci ha sorretti nella fase iniziale della pandemia, si è insinuata una crescente diffidenza verso il prossimo che si esprime nelle continue contrapposizioni che emergono in questi giorni: governo contro parti sociali, cittadini che hanno capito e altri che continuano a perseverare nella loro inciviltà, teorie complottiste contro tutto e tutti, sanità privata contro sanità pubblica, RSA contrapposte ad ospedali, studi legali contro operatori sanitari, categorie di lavoratori che alzano barricate ciascuna urlando le proprie necessità…

Tutto legittimo. Ma credo che questa ricerca del colpevole a tutti i costi, questa forza centripeta che irresistibilmente ci fa distrarre da noi per guardare con diffidenza gli altri, nasconda la grande difficoltà di sopportarci nudi, senza più le nostre certezze tra le mani.

La tentazione di riprenderci le nostre vecchie false sicurezze è forte. Lo è per tutti, ma penso che non sia questa la strada da percorrere: sarebbe folle ricostruire gli edifici sgretolati da un improvviso terremoto tali e quali a come erano. Costretti dalla violenza delle circostanze a vedere andare in frantumi molte delle nostre “costruzioni”, la cosa più saggia sarebbe provare a ripartire da capo, gettando nuove fondamenta proprio lì dove la sofferenza ci ha scavati più a fondo. Mai come in questo momento è più facile ed istintivo additare l’altro piuttosto che metterci a lavorare su noi stessi. Mai come adesso è difficile respingere quella rabbia che ogni giorno insidiosamente ci tenta, esplodendo inaspettata alla prima occasione.

Dobbiamo metterci in gioco in prima persona: non servono finanziamenti pubblici, nessun complicato piano regolatore, solo “semplicemente” ripartire da noi stessi, dalle nostre famiglie, da ciò che ci circonda strettamente. Ciascuno da se stesso: io da me, con urgenza. È la cosa più difficile.

Senza aspettare che qualcuno ci dica che possiamo finalmente abbattere le distanze, che possiamo togliere di mezzo i plexiglas, che le mascherine possono tornare ad essere un esclusivo presidio sanitario: queste continuano ad essere misure di igiene e sanità pubblica, comportamenti di civiltà che forse ci faranno compagnia ancora per molti mesi, paradossali gesti di altruismo e tutela dei più deboli.

Le relazioni però continuano, e la difficoltà e la sofferenza estrema che viviamo nell’attuare distanziamento e isolamento ci dicono che siamo fatti per altro: siamo fatti per dare e ricevere abbracci, abbiamo bisogno della forza e del calore delle strette di mano, i nostri cuori soccombono nell’aridità se non possono tornare a nutrirsi di sorrisi troppo spesso celati da un pezzo di stoffa.

Quando la complessità è tanta, il rischio è che finisca tutto in un mare indefinito, troppo più grande di noi: impossibile da contenere, impossibile da svuotare, impossibile distinguere o separare la goccia buona da quella cattiva. Di fronte all’impossibile non ci resta che continuare a urlare rabbia… oppure ricordarci che di questo mare che ci circonda siamo gocce essenziali, piccole unità necessarie alla molteplicità, infinitesime ma non indefinite, incapaci da sole ma necessarie per il risultato finale, gocce che di questo mare sconfinato rimangono sempre unità costituente.

È per questo che quando tutto sembra troppo grande e complicato per essere governato dall’alto, è necessario ripartire da se stessi. Pensare ai macrosistemi senza ripensare a cosa è ogni singolo uomo, sarebbe come costruire un castello di carte, pronto a dissolversi nuovamente alla prima prossima scossa. Ricominciare da se stessi non è un ritiro che sa di resa, ma un’occasione per ripensare e ridare un nuovo senso e una nuova direzione al cammino di tutti!

Solo così potremo ritrovarci tra le mani una nuova sicurezza da stringere, insieme, senza doverla strappare l’uno dalle mani degli altri.