Mangiavano a sbafo, facevano la cresta sulla colletta per la famiglia del morto, si occupavano di tradimenti e di riconciliazioni matrimoniali e poi, ancora, cercavano di ricreare una connessione con il sottobosco di Borgo Vecchio gestendo la festa di quartiere a colpi di neomelodici, controfigure di un sistema criminale uscito da fiction di quart’ordine, simile più a una caricatura che non a una rete capillare in grado di nuocere.

Quella che è emersa dall’operazione “Resilienza” condotta dai carabinieri di Palermo, che grazie alle denunce di 14 imprenditori ha portato all’arresto di 20 mafiosi, tra cui il boss e reggente Angelo Monti, nel quartiere palermitano di Borgo Vecchio, è una storia che ha rilievo per due aspetti che assomigliano sempre più alle lame di una forbice che si va lentamente allargando: da un lato, finalmente, la coscienza della denuncia sistematica e della scelta di campo netta e decisa; dall’altro un apparato criminale che, per quanto tenti di inabissarsi, sembra aver perso le chiavi, i codici che hanno permesso a questa organizzazione di dettare legge, terrore, di infiltrare finanche le parti sane delle istituzioni. Insomma, un cortocircuito guardato da entrambe le parti, ma che capovolto ci rimanda esattamente all’ordine delle cose: i buoni che fanno il loro dovere, i cattivi che mostrano la loro vera essenza: gente senza spessore, più prosaicamente ridicola.

Come quando l’esattore glissa davanti alla parola “pizzo” nel video registrato dall’imprenditore-eroe Giuseppe Piraino, che nomina Falcone e Borsellino – a un certo punto della storia pure icone da tatuarsi al braccio per inquinare le acque e far credere d’essere antimafia – e che ottiene lo stesso effetto di una croce piazzata davanti agli occhi di un vampiro; il cialtrone, tirapiedi di altrettanti cialtroni, scivola via, nicchiando, bofonchiando, quasi vergognandosi di imporre le parole della delinquenza che hanno sempre contraddistinto, prima dei fatti, il vocabolario dell’organizzazione mafiosa. Che, è vero, cerca di fare meno rumore possibile – tranne i casi in cui non “può” non farne – e quindi di sgattaiolare e di prendersi vie, palazzi, bar, feste, famiglie, città nel più assoluto silenzio; ma l’ostentazione del potere è il peccato originale che la mafia non ha mai estirpato dal suo stomaco: lo rigurgita ogni volta che crede di avere raggiunto la quiete dopo la tempesta. La sensazione è che abbia ormai smarrito il senso della tattica: d’altra parte gente brutale e poco intelligente non sa che per fare scacco matto occorre pazienza e studio; ma anche perché lo Stato ha ripreso a fare lo Stato e gli uomini in divisa a tracciare la rotta senza smarrirla (mele marce a parte).

C’è un cambio di rotta, grazie alla pazienza e alla perizia delle forze dell’ordine – e non solo – che hanno instillato in buona parte della popolazione l’idea che si può dire di no; e ci sono altre persone, di alto lignaggio morale, che hanno capito quanto costi più sottostare a certe logiche che denunciarle. Già, perché dicendo sì una prima volta, sarà un sì eterno, come nei peggiori matrimoni che diventano gabbie dalle quali è impossibile tirarsi via. E poi perché, a dirla tutta, rode parecchio veder consumare il sudore quotidiano dei propri sacrifici, ancor più in un periodo di depressione economica, da parte di nullafacenti, privi di benché minima cultura e istruzione. Rode, sì.

Bussare e pretendere già di per se è affare serio, perché in effetti se non se ne ha titolo è fiato sprecato. E quale dovrebbe poi essere questo titolo idoneo a legittimare pizzo, soldi, sottomissione? La mafia? Che è una colossale montagna di merda? Ce li vedete voi persone – istruite, perbene, capaci di mettere su famiglie, imprese, studi, attività – dover dire di sì alle pretese di una montagna di merda? Due soldi dateglieli, anzi; sì, per ripulirsi e non inquinarci più con quell’indigesto fetore e togliersi di mezzo, una buona volta.

Video ANSA