No alla caccia alle streghe o all’allarmismo ma rispetto delle regole

Nelle ultime settimane siamo stati bombardati da notizie di nuovi positivi nei nostri paesi, segno evidente della diffusione del virus anche nel nostro territorio. Quello che per alcuni era solo un problema lontano adesso si sta materializzando sempre più vicino. Allora abbiamo puntato il dito, cercando il “positivo”, un sorta di caccia alle streghe che a nulla serve se non ad alimentare sospetti e maldicenze. Sicuramente non a fermare il virus.

Allora cosa possiamo fare? Rispettare le regole. Rispettare quelle che sono le disposizioni per limitare il contagio: indossare la mascherina (coprendo bocca e naso), lavare spesso le mani, mantenere la distanza interpersonale, evitare gli assembramenti. Si tratta di una battaglia contro un nemico invisibile ma che esiste e che si fa vedere, non tanto negli asintomatici ma in coloro che soffrono e in coloro che hanno perso la vita: medici, sacerdoti, gente comune; uomini e donne in prima linea negli ospedali così come il passante, il ricco e il povero, senza distinzione alcuna.

Richiamiamoci tutti alla responsabilità, se non vogliamo farlo per noi stessi, almeno proviamoci per gli altri, per i più fragili. Se le morti sono state tante ma “limitate” rispetto alle vittime di altre malattie è perchè sono state rispettate le prescrizioni governative e perchè per lungo tempo siamo stati costretti in casa. Ogni vita persa è un dono che si spegne qualunque sia la causa che la porta via. Se sono necessarie le “fastidiose” mascherine, facciamole nostre compagne ancora per un po’ di tempo.

Ma una chiusura totale, ancora una volta, non può essere sostenibile economicamente e socialmente, in una economia e una popolazione fiaccata dalla lunga chiusura dei mesi scorsi. E’ pure vero, hanno lanciato nei giorni scorsi l’allarme i medici, che il sistema sanitario nazionale al ritmo di nuovi ricoveri odierni potrà reggere ancora al massimo due mesi. Se questo è vero allora non rimane che attenersi il più possibile alle indicazioni per contenere il contagio e per vivere la quotidianità convivendo con il virus.

Non cerchiamo necessariamente la colpa negli altri, in chi il virus lo ha preso per esempio, nei politici (per i ritardi e gli errori che ci sono stati e vengono ancora fatti), pensiamo a quello che possiamo fare noi, ciascuno di noi nel suo piccolo, nel vivere quotidiano, sul posto di lavoro, per strada, al supermercato.
Piccole privazioni oggi per evitare un nuovo lockdown, prima escluso e adesso sempre più spesso citato.

Non servono le canzoni dai balconi, le dirette sui social, non sono sufficienti i bei disegni, non bastano gli slogan #andràtuttobene, #celafaremo. In un paese che aspetta sempre l’emergenza per poter porre rimedio, un paese che non si organizza per rispondere al meglio a qualcosa di prevedibile, così come è stata la seconda ondata che tutti aspettavano -era solo questione di tempo ma sarebbe arrivata – ognuno è chiamato a fare la propria parte. Nel silenzio. Con la speranza che tutto finirà quanto prima.