Suona la campanella…si riparte!!! Ma quante novità! Il tradizionale convenire gioioso, allegro e scanzonato dei ragazzi all’ingresso della scuola lascia spazio a un fluire lento, controllato, incolonnato, su cui riecheggia perentorio il termine “Distanza!”, quasi urlato, ma con ferma dolcezza.

Sembra una scena di altri tempi: ragazzi e ragazze in file ordinate in attesa del loro turno per entrare in aula, guidati dai loro docenti, alle prese con un rituale spento e meccanico, carico di malinconia di un tempo ormai passato. Nel silenzio della classe risuonano le parole, pesanti come macigni, di protocolli e misure di prevenzione che quasi spengono i timidi sorrisi che si fanno strada da occhi impauriti, ultimi baluardi di speranza, lasciati scoperti da quelle mascherine che fanno ormai un tutt’uno col volto degli alunni.

Cerchi di infondere speranza, di strappare un sorriso a tutti i costi, di dare sicurezza…ma il tuo operato finisce col contrastare con quello che vuoi o vorresti dire. Nessun contatto, nessuno scambio è possibile! In attesa dell’arrivo dei tanto discussi banchi monoposto, la classe sembra un’insolita scacchiera alla ricerca di una sospirata sicurezza da tutti invocata.

È un viavai di spray e igienizzanti, di pause per aerare i locali ed estenuanti annotazioni per le uscite in bagno, tutte rigorosamente registrate per un eventuale tracciamento di contatti.

Pian piano la straordinarietà diventa normalità e quasi ci si abitua a questa nuova quotidianità che ci vede tutti più vigili, attenti e prudenti. Un bel giorno, però, arriva la notizia che nessuno avrebbe mai voluto avere: gli alunni X e Y, delle classi A e B, sono risultati positivi al tampone. Parte la corsa al tracciamento: docenti e alunni in quarantena, in isolamento fiduciario, scuola chiusa per sanificazione e avvio della tanto amata/odiata DAD, da quest’anno DDI.

Iniziano giorni di iperconnessione, dove alcuni argini non tengono più: “vi mando un messaggi su Teams… non riesco a tenere più il ritmo delle comunicazioni”. Il pensiero va alla cattedra…che diventa sempre in più un ricordo. Altro che cattedra: qui vedono il nostro mezzobusto e noi entriamo nelle loro case, nelle loro stanze, tra i loro giochi, le loro foto, i loro libri, i loro idoli, il loro mondo. D’un tratto diventiamo familiari, siamo accolti nelle loro case…come parenti o vecchi amici.

Non sempre tutto “funziona” però: non tutti hanno un dispositivo, una connessione adeguata…a tratti qualcuno scompare, poi riappare… la conversazione si fa singhiozzo…che stress!

Anche tra noi docenti ci sono difficoltà…ma ognuno sperimenta di tutto per non restare e non fare restare nell’isolamento, per ritrovare quel contatto umano che rischiamo di perdere…

E allora torni a pensare e a ripensare cosa significhi insegnare in questo momento, in queste condizioni. Arrivi alla conclusione che il tuo compito di docente sia quello di testimoniare la tua presenza, la presenza della scuola, quello di vincere e far vincere la paura, ma con responsabilità, con l’amara verità della quotidianità, addolcita dal sapore unico della speranza. Tutti temiamo di ammalarci e/o di fare ammalare, abbiamo paura di un virus invisibile, ma capace di colpire a dovere; questa paura deve però darci il coraggio di salvarci, continuando ad amare la vita, in tutte le sue forme e le sue manifestazioni. Il nostro compito sarà allora quello di testimoni coraggiosi di speranza, anche tra gli spazi virtuali dell’informazione. La nostra assenza dalle aule sarà una presenza diversa, capace di contatti umani significativi e sinceri, capaci di ridare vita e luce a occhi spenti e impauriti, di ridare speranza e colore a sogni ormai spenti e grigi, di essere SCUOLA, non di fare SCUOLA, che accompagna ogni alunno affidatoci nel, comunque, sempre meraviglioso CAMMINO della VITA.