Carissimo Athos,
sei scappato via. Di corsa. Hai terminato la tua corsa. Un feroce ictus ha sciolto improvvisamente le vele della barca della tua vita, attraccandola per pochi giorni a un lettino del reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Amman. Le sorelle della tua Piccola Famiglia dell’Annunziata di Main ci hanno raccontato che prima di salire sull’ambulanza dai tuoi occhi è scesa una piccola lacrima. Cercavi di parlare. Senza riuscirci. Lo hai fatto con i tuoi occhi. Con il tuo sguardo che tutti cercavamo perché riusciva a illuminare le vie e le viuzze del nostro passato e presente. Soprattutto ogni strada attraversata o calpestata dai passi delle tenebre dei nostri errori. Dalla notte del peccato. Ci raggiungeva. Come quella prima luce delicatissima che prepara l’alba di un nuovo giorno. Accarezzava con la materna mano della mitezza le ferite che abitavano nel corpo della nostra coscienza. Anche le più sanguinanti. Riusciva a curarle, a sanarle, medicandole con le bianche garze e bende della tenerezza e della misericordia di Dio che portavi sempre con te. A fasciarle c’era la tua preghiera d’intercessione. La incollavi nel cuore di Dio con le tue lacrime. Ecco perché quella ultima piccola lacrima è il pegno più nascosto e più eloquente dell’amore per tutti i tuoi figli, figlie, fratelli e sorelle. È l’autografo che sigilla il tuo testamento d’amore scritto per tutti quelli che hai incontrato. Anche una volta soltanto. Con quella lacrima hai voluto gridarci che avresti continuato a chiedere al Signore di custodirci come la pupilla dei Suoi occhi. Hai voluto ricordarci che con la morte la tua lingua e le tue labbra non avrebbero mai smesso di elevare a Dio la tua preghiera. Per noi, per il mondo intero.
Ci hai insegnato che non c’è paternità senza preghiera. Ci hai fatto ascoltare da vicino e da lontano i battiti della paternità del tuo cuore. Col passare degli anni, attorno a esso si è creato un assembramento di corpi e di anime. Tu ne portavi il peso senza mai lamentarti, custodendoci da possibili contagi sprigionati da virus cattivi. Al contrario, ci donavi gli anticorpi e i vaccini per riuscire a portare sulle spalle la croce. Per farci risorgere con la lenta morte del nostro io. La vita monastica l’ha fatto dilatare. Ancora di più. C’eri per tutti. Anche per quelli che non avevi mai incontrato faccia a faccia. Le tante aritmie, le potenti tachicardie, le fibrillazioni del tuo muscolo cardiaco sono state le vocali e le consonanti di ogni tua preghiera d’intercessione. Suppliche che partivano dalle tue viscere. Le attraversavano, bruciandole come i chicchi d’incenso tra i carboncini di un turibolo. Del grido delle tue suppliche, a noi giungeva il soave profumo. Sappiamo che anche le tue giornate di silenzio non sono mai state un mero rinchiudersi nello spirituale. Un trovare riposo. Una sorta di ritirata nell’intimità di un rapporto solo interiore con Dio. Tu, caro Athos, sei riuscito a stare in mezzo a noi. Sempre. Forse senza averne mai avuta una lucida consapevolezza. L’essere monaco è stato da te vissuto anche come un andare in mezzo, un abitare le nostre vite. Ci hai portato con te. Sei venuto in mezzo a noi. Nel tempo della gioia e nel tempo del dolore. Lo hai fatto dal silenzio della cella dei conventi, nella preghiera del salterio, ai piedi della tomba di don Giuseppe Dossetti. Quando piegavi l’orecchio all’ascolto della Parola di Dio. In ogni Eucarestia celebrata. Ce lo ricordano le tue email: «Questa mattina alle tre eri con noi». «Nella Messa eri con noi». «Diciamolo a don Giuseppe». Ai bordi dell’altare ci hai sempre chiamato per nome. A uno a uno. Lo facevi per vivi e per i defunti. Questi ultimi ci hai insegnato a incontrarli nell’Eucarestia. Per ogni anniversario della nascita al Cielo di mio papà e di mio fratello mi scrivevi «Nella messa con noi c’era papà Illuminato e nostro fratello Giacomo». Ci hai fatto scoprire la bellezza dell’incontro nella Santa Messa con i cittadini della Gerusalemme celeste. Un incontro vivo. Reale. Ammantato dalla Luce del Risorto. Ci hai fatto uscire dal “pungente” recinto della grigia memoria pietistica, dal buio dei loculi dello sterile intimismo. Dagli argini del suffragio e della mai evangelica rassegnazione.
T’incontrai la prima volta a Montesole. L’otto aprile del 2001. Era il giorno della domenica delle Palme. Quella stessa sera, nella pagina del mio diario con la penna del discepolo e l’inchiostro della gratitudine al Maestro, scrivevo: «In padre Athos ho incontrato l’uomo che è riuscito con i suoi occhi soltanto a disegnare Dio tra le pagine del libro della mia vita e della mia fede. Lo sguardo di questo monaco ti fulmina. T’inchioda. Ti scava dentro. Con delicatezza. Spazza via il male. Lo esorcizza». «Quando ha proclamato la Parola del Signore il suo viso si è arrossato. Durante l’omelia ha mantenuto la postura del discepolo, ancora piegato all’ascolto della Parola». Le prime impressioni lasciano il segno. Di te, caro Athos, porto i segni di tanti insegnamenti. Uno scorrere di lezioni dove tu hai mantenuto sempre la postura del piccolo discepolo della Parola e del piccolo discepolo di don Dossetti. Per ben venti anni mi hai fatto dono della tua paternità sempre saldamente unita alla maternità di tutta la Piccola Famiglia dell’Annunziata.
Hai amato il Sud. La Sicilia. Hai pregato in modo particolare per due Pastori delle Chiese della nostra Trinacria. Il mio Vescovo Giuseppe della Chiesa di Cefalù e il Vescovo Corrado della Chiesa di Palermo. Mons. Lorefice ha parlato di Te come colui che ha incarnato contemporaneamente due libri della Scrittura: Cantico dei Cantici e Qoelet. Un’immagine tutta da approfondire. Mons. Marciante ci ha fatto riflettere sul “privilegio” che meritatamente ti è stato concesso di essere stato sepolto sul monte Nebo, in compagnia del Patriarca Mosè. Un dettaglio prezioso, da non seppellire. Sono certo che dal silenzio del Nebo continuerai a stendere la tua mano benedicente sulla nostra isola. Lo farai col canto della tua preghiera. Da innamorato della Chiesa.
Alcuni saggi osservatori di questo particolarissimo momento storico sottolineano che stiamo assistendo al declino dei maestri e all’ascesa inarrestabile degli influencer. Si parla della dimissione dei maestri. Tu, caro Athos, smentici questo tramonto. Sei stato un maestro. Fino alla fine e fino a pochi giorni fa. Anche se sei scappato via di corsa hai trovato il tempo per impartirmi la tua ultima lezione. Da vero maestro. Ti rivedo tenendo tra le tue grandi mani la Parola, ti rivedo col capo chino sulle Scritture, seduto sulla scomoda panca della vita che mi scrivevi così in una delle ultime email «Tutte le conversazioni sono belle e necessarie. Possiamo trovarci nella stessa barca. Ma se non entra Lui con la Sua autorità non prendiamo nulla. Deve entrare nei nostri cuori la Sua Parola. Chiedi per me a Dio di insegnarmi ad ascoltare la Sua Voce di Maestro». Grazie Athos, perché fino alla fine ti sei presentato solo come un discepolo della Parola. Questo ha fatto di te un vero maestro di vita e di fede. Il maestro della Parola del Maestro.