“E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com’è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione.”

La citazione con cui esordisco è tratta dal diario di Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943. Eppure, dopo averla letta in classe, non pochi miei alunni adolescenti si sono ritrovati nel suo testo pensando all’ultimo anno vissuto.

Si chiedono se questa sia più una vera vita, fatta di rinunce, isolamenti, distacco e paura.

Tenendo in considerazione le atrocità vissute dagli ebrei nei campi di sterminio, mosse da odio e discriminazione, non oseremmo mai fare un paragone tale. Nonostante stiamo vivendo la pandemia in un 2020-21 fatto di tante comodità e soluzioni, una pandemia resta di fatto un’epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, a invadere rapidamente vastissimi territori e colpire un gran numero di persone.

Siamo stati colpiti, siamo stati attaccati. Nessuno potrà dimenticare quanti hanno paragonato questa situazione ad una guerra. Al di là dei complotti sospetti e delle legittime domande – forse un po’ meno legittime alcune risposte – l’essere umano in questo momento è in guerra. Non un conflitto fra popoli, spereremmo di non viverne più, ma una sfida con il male che si presenta nella forma di un organismo parassita il quale riuscito a penetrare all’interno di una cellula ne altera il patrimonio genetico, replicandosi e costringendoci a un malessere che può spingere fino alla morte. E quando siamo feriti è facile anche che i sospetti si moltiplichino, che l’odio aumenti, che l’individualismo di cui siamo già impregnati da tempo salga alle stelle. Così allo stesso modo, per chi è orientato al bene, una situazione dolorosa costituisce uno spazio perché avanzi la solidarietà. Siamo chiamati sempre ad una scelta, che si rende necessaria soprattutto nel tempo della crisi il quale è ontologicamente il momento del discernimento.

È oggetto di discernimento e scelta anche quale esistenza vivere in tempo di pandemia.

Ho visto diverse reazioni ed anche in questa circostanza il genere umano si dimostra variegato e complesso, opera meravigliosa del Creatore.

Ho notato vite indifferenti continuare per la loro strada, resistere ad ogni restrizione, insistere nel fare ciò che è vietato e rischioso per sé e per gli altri; ho visto gente convinta di essere prudente poi fare il contrario di quello che dichiarava, minimizzare l’effetto di alcune azioni compiute con leggerezza, non essere poi così lontana dalla prima categoria. Di contro ho avuto modo di accorgermi che molti sono attenti, osservano con molta accortezza le norme anti-covid ed evitano ogni attività oltre l’indispensabile: spesa, lavoro, nucleo familiare, videochiamate. Intanto il tempo passa e la vita a disposizione è il presente.

Non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25,13)

Tra gli articoli sul web le notizie dell’aumento del30 % di ricoveri per masochismo e suicidio tra i giovani , di violenza domestica, di dispersione scolastica visibile ad occhio nudo per chi lavora nelle scuole (nel 28% delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono), la difficoltà dei genitori a tenere i figli in casa e continuare a lavorare, chissà quante situazioni difficili dietro le mura di ogni appartamento. Quanti sogni in pausa, quanta disperazione, dolore, solitudine.

Importante tenere presente che questa dura prova finirà e potremo riprendere le tappe progettate per realizzare i nostri desideri ma non si può vivere una vita proiettata solo in un futuro che ad oggi consciamente o inconsciamente è messo in dubbio dai numeri della pandemia.

Il nostro presente è ora. Lungi dall’ignorare i rischi a cui siamo sottoposti, ritengo urgente ed essenziale anche l’incontro – le videochiamate non bastano; prendere aria in mezzo alla natura – i balconi non bastano; vedere gli amici, i parenti e i bisognosi – i colleghi non bastano.

Anche oggi, oltre che di covid, si muore di povertà, di solitudine, di depressione, si muore fisicamente o si muore dentro. E’ essenziale portare in alto le proprie passioni. Troviamo modi alternativi, facciamo uno sforzo ma vediamoci.

Guardatolo lo amò” (Mc 10,21)

Diamo carica e valore a quello sguardo che veicola l’amore: oggi è ciò che resta dietro una mascherina. Attraverso uno schermo non si vede nemmeno il colore degli occhi, figuratevi se passa l’amore.

Non dimentichiamo di rischiare la vita se non teniamo quel metro di distanza, ma ricordiamo ancora di mettere a rischio la vita chiudendola in una routine vegetale priva di affetti, sfide e novità. D’altra parte la nostra esistenza non può che appellarsi all’ex-istere: quell’istanza che ci chiama a “stare fuori”, secondo cui esiste solo chi vive allo scoperto. Uno spazio che non può identificarsi soltanto col vivere all’aperto, visto che oggi diverse volte non c’è concesso, ma che non può nemmeno ridursi alle “amicizie” Facebook o al “discepolato Instagram”. Il Maestro dell’Amore e delle relazioni ha sempre insegnato il grande valore della fisicità nella conoscenza vera. Non si può credere di conoscere o filtrare le nostre conoscenze a partire dai post o meme condivisi online. Andiamo oltre, scambiamo parole, avanziamo il primo passo per un confronto o ribattiamo con il secondo, osiamo dialogare e rischiare anche di capire che non andiamo d’accordo. Il “gioco” delle relazioni è sempre passato da conoscenze, illusioni e delusioni, incomprensioni e comprensioni, insuccessi e successi. E nasceranno anche adesso nuove amicizie e nuovi amori, come quello di tanti, finiti a convivere proprio in tempo di pandemia. Per i più prudenti senza convivenza, purché non si metta la propria vita in stand-by: può bastare una sana conoscenza distanziata, anche qualche chiamata, dei messaggi, una lettera d’altri tempi, ed il resto si vedrà nel futuro, perché se viviamo il presente come kairos una vita ci sarà, anche dopo la pandemia.