Sono le quattro e mezza del quattro agosto 2021. Suona il mio cellulare. Nel silenzio delle mura della stanza della mia casetta di campagna bastano pochi squilli per svegliarmi. È il sacrista. Penso a un furto in chiesa. La sua voce lascia cogliere subito che è successo qualcosa di grave. Mi chiede se è possibile suonare le campane. Quasi tutto il paese è circondato dalle fiamme. Si teme il peggio. Il fuoco è partito da Scillato. Anche lì la situazione è critica. Il pensiero e le prime confuse preghiere sono per quelle famiglie che abitano nelle campagne tra i due comuni. Le conosco tutte. Tanti amici. Diverse giovani famiglie. Conosco perfettamente quella strada, quei campi, quel territorio che si apre sul mare e che guarda le montagne. Li ho attraversati tutti i giorni per sei anni. Anche due, tre volte al giorno. Scillato è stata la mia prima parrocchia. In quelle ore la risento quasi mia. Il tempo non cancella l’amore per chi ti è stato figlio, fratello, sorella, padre e madre e neppure per chi lo è diventato successivamente. Ma non basta. Nelle situazioni di grave pericolo lo rafforza maestosamente e meravigliosamente. Una lievitazione d’amore tutta evangelica. Il popolo, le vite di due parrocchie sono in serio pericolo. Il mio cuore fa esperienza della tachicardia pastorale. Quella che ne fa esplodere arterie e valvole. Quella che, con i suoi lancinanti sussulti, lo solleva in avanti con le aritmie della compassione e le extrasistole della supplica gridata al Pastore dei pastori. Se ci fosse stato un saturimetro capace di misurare la quantità di ossigenazione pastorale paterna e fraterna in circolo nel mio sangue, i valori si sarebbero attestati, probabilmente per la prima volta, al cento per cento. Sono però anche e soprattutto una pecora, al momento al riparo da ogni pericolo ma che deve pensare, o meglio, trovare il modo per aiutare le altre pecore circuite dal fuoco. Il cuore del mio ministero è improvvisamente sbranato dalla preoccupazione, sento sulla mia pelle i morsi violenti e le dentate dell’angoscia, della rabbia. Quella devastante. Quella che ti ruba la pace. Esco dalla stanza. In aperta campagna, un vento caldissimo, da deserto africano, accarezza con prepotenza il mio viso. L’aria bollente fa cadere silenziosamente delle lunghe gocce di sudore sul mio corpo. Pare che scavino dentro di me. Dentro la mia anima. Di pastore e di pecora. Cadono giù leggere. Lentamente. Sono le mie lacrime. Bagnate dal sudore dell’amore. Vanno a unirsi a quelle dei pastori che corrono ansimanti per mettere in salvo il proprio gregge. A quelle dei contadini che aprono rubinetti di serbatoi e cisterne per buttare acqua su viti, olivi. Sui tanti alberi curati per anni e anni con quelle laboriose mani che adesso sembrano quasi impotenti a fermare le fiamme di un inferno voluto dalle mani dei tanti, troppi Caini che uccidono la terra. La voce del sangue della natura grida dal suolo alle loro coscienze. Insieme alla voce di Dio. Quella silenziosa pioggia di schegge di cenere che il vento, nonostante i tanti chilometri di distanza, fa cadere ai miei piedi è la raccolta degli ultimi rantoli di una natura che non respira più. L’ultimo urlo muto della madre terra e delle sue creature che raggiunge noi tutti suoi custodi. I miei occhi guardano in direzione di Collesano. Si alzano. Li sento bagnati. Vedono soltanto un cielo che ha perso il suo azzurro. Un cielo senza stelle. Un cielo rosso. Per la prima volta comprendo bene cosa sia il colore rosso fuoco. I miei due occhi l’hanno rubato al cielo. Quel cielo rosso fuoco sarà il mio “altare” per tante ore. Lo posso solo guardare a distanza, ma è come se ne stessi ai bordi. Iniziano le telefonate di amici e parenti. Agli amici, ai parenti. Arrivano le prime foto. Non hanno didascalie. Le immagini sono terrificanti. Raccontano il martirio della creazione. Ogni speranza umana è riposta saggiamente nei canadair. Questi non possono prendere il volo se non fa giorno. Lo scirocco incalza. Qualche famiglia lascia casa. L’allerta raggiunge il suo picco. Colore rosso rafforzato. Tutti mi invitano a pregare, chiedono preghiere. Un grido corale. Alla richiesta della preghiera si associa quella della protezione, del miracolo. Al miracolo si associa la salvezza per tutti, la vita per tutti. Passeggio pregando coi salmi. Ad alta voce. Leggo e prego ad alta voce con i brani del Vangelo di Marco, Matteo e Luca. Quelli che ci narrano l’evento della Trasfigurazione di Gesù. Proprio qualche giorno prima avevo letto un’omelia di don Giuseppe Dossetti, quella della festa della Trasfigurazione del 1992. Il monaco raccomandava di: «fare riferimento alle pagine di Vangelo che ci parlano della Trasfigurazione, ogni volta che vi trovate in difficoltà. Più che stare ad ascoltare le prove, i problemi, le difficoltà, leggete con insistenza il racconto della Trasfigurazione. Ha un potere enorme di consolazione, di ricarica». Erano il mio piccolo atto di fede. La mia preghiera per il mio popolo. Proclamavo ad alta voce quella Parola del Signore. Una nota quasi di “lucida” pazzia. Ad ascoltarmi c’erano solo i miei due cani. Comprendo che devo chiedere aiuto. Ognuno di noi ha i suoi amici. Quelli a cui puoi chiedere tutto. Con insistenza. Anche alle prime luci di un’alba senza “luce”. Guardo l’orologio. Sono le 4:50. Già i monaci e le monache di Montesole e Monteveglio sono in preghiera. Chiedo aiuto a loro. Alla mia “Piccola Famiglia”. Scrivo piccoli messaggi. Inoltro qualche foto. La risposta è immediata. I potenti canadair della preghiera si sono alzati da terra da un altro angolo dell’Italia, addirittura dall’appennino tosco-emiliano. Sono super veloci. Nella Santa Messa che stanno per celebrare, mi scrivono che: «Vi stiamo ricordando con tutte le nostre forze». E ancora: «La Messa è per voi». Alle 6:14 da Paolo, il superiore della Piccola Famiglia dell’Annunziata, mi giunge un messaggio con una foto. La foto è quella della tomba di don Dossetti al cimitero di Casaglia. Il testo del messaggio: «Ho pensato che saresti voluto venire qui ad affidare il tuo popolo all’intercessione di don Giuseppe e sono venuto a nome tuo». Paolo mi conosce bene. Ha letto il desiderio che albergava nel mio cuore. Per tutti i miei figli, fratelli, sorelle, madri e padri. In pericolo di vita. Altre volte, in passato, lo avevo fraternamente invitato a correre ai piedi della tomba del “vecchio” monaco. Per una preghiera di supplica per me. Per i miei sogni. Le mie scelte. Un mio problema. Stavolta la richiesta è stata tempestivamente esaudita. Nel silenzio che dà voce alle parole non dette. Intanto, quasi simultaneamente, al telefono una mia cara amica mi informa che le fiamme stanno cambiando rotta. Il vento cambia direzione. Segue altre vie. Si allontana dalle prime case che stanno alle porte di Collesano. E aggiunge «Sembra che “Qualcuno” stia con forza evitando che le fiamme invadano il paese». Lei è una donna razionale. Ha sempre preso le distanze da qualsiasi circuito emotivo. Ma non le sfugge questo segno. Un dettaglio osservato e raccontato. Arrivano i canadair. Con il loro ormai riconoscibilissimo rumore e le piogge d’acqua salva- vita. Siamo fuori pericolo. Lascio la campagna. Vado in paese. In Chiesa. Appena sceso dalla macchina mi viene incontro un signore, uno che conosce bene la campagna, la natura, i venti. Quegli uomini di un tempo che ti azzeccano le previsioni metereologiche ascoltando la voce della natura e osservandone i colori. Quest’uomo mi invita, vedendo che sto per entrare in Chiesa a ringraziare il Buon Dio. Le sue parole: «Stamattina solo una Grande Mano poteva riuscire a spostare in altra direzione la forza del vento che prima portava il fuoco verso il paese». «Solo una Grande Mano. Dal Cielo». Entrando in Chiesa, ringrazio il Buon Dio. Per quella Sua Grande Mano benedicente. Lo ringrazio per la preghiera di Paolo, di ogni fratello e sorella di tutta la Piccola Famiglia dell’Annunziata. Ringrazio la Madonna, la nostra Madonna dei miracoli, Maria l’Annunziata. Aggiungo un’altra preghiera. Per quelle mani criminali. Perché i loro cuori si convertano. Ma anche perché le istituzioni preposte, come ha scritto il nostro Vescovo Giuseppe: «Identifichino questi mostri». Per loro rileggo e prego ad alta voce il brano del Vangelo della Festa della Trasfigurazione. Sarebbe difficilissimo farlo con le mie parole. Con le nostre parole. È il Vangelo di Marco capitolo 9, 2-10. Se puoi e vuoi, anche Tu che hai letto la pagina di questa cronaca, ringrazia Dio pregandolo con questa Parola del Signore.
