Caro amico,

ti confesso che le gocce nerastre dello scoraggiamento hanno fatto capolino sul pavimento del grande attico della mia speranza. La temuta “perturbazione” Omicron ha invaso, adirata, ogni angolo della terra. Nel mega arcipelago globalizzato delle news, le parole umane della speranza si sono mosse pallide e stanche, come accompagnate da un doloroso rumore. Giunge invece sempre rassicurante e consolante la speranza di cui profumano le pagine della Scrittura, i cui effluvi intensi respiro nel quotidiano “lavoro” della lectio divina. Nel mettere accanto i tanti mattoncini in pietra della mia povera fede, intagliati dalla “Roccia”, dalla Parola di Dio. Con scalpello, martello, picozzina e tutti quegli arnesi che la Chiesa mi ha donato a Montesole, ai piedi dell’appennino tosco-emiliano, ben ventidue anni fa direttamente dalle sapienti mani dei fratelli e sorelle della Piccola Famiglia dell’Annunziata.

Pezzi e pezzettini di pietra raccolti con meticolosa attenzione. Con la cura certosina di recuperarne le scaglie, i frammenti più minuti. Come fanno devotamente tanti preti con le briciole del Pane Eucaristico. Mattoncini deposti nel grande paniere della storia. Quello intrecciato in questi due anni anche coi vimini invisibili di un virus che, con le sue ondate, genera insostenibili lockdown dell’anima, della vita e del domani.

Oggi il cielo delle nostre vite cerca il sole, la luce, l’azzurro. Vogliamo ritornare a osservare le stelle luminose della serenità, della “normalità”, della festa. Desideriamo ardentemente tutti la fine delle tempeste dei tracciamenti, delle restrizioni, delle ospedalizzazioni e delle terapie intensive. Per questo, stanotte, per la mia veglia di fine anno ho deciso di “disturbare” gli angeli. L’ho fatto dal cielo della mia stanza. Nel silenzio infranto dai tuoni dei petardi che si univano all’abbaio impaurito dei cani. L’ho fatto rincontrandoli nelle pagine di quei brani del Vangelo di Luca e di Matteo del calendario biblico di questi giorni. Li ho riletti. Pregati. Ad alta voce. Così, con magnifico stupore, gli angeli sono stati i primi commensali di una improvvisata e ricca “mensa della Parola”, gli amici del mio primo brindisi per il nuovo anno.

Li avevo incrociati nel tempo di Avvento, nella notte e nel giorno di Natale, nell’ottava del Natale. In quei giorni, hanno abitato la Parola del Signore. Hanno parlato a Zaccaria. Guidato il cammino di Maria, Giuseppe e dei pastori. Eppure, devo ammettere che non li ho mai cercati o incontrati con lo sguardo della fede. Come è successo stanotte.

Nel passato gli angeli li ho accolti con rispettoso “distanziamento sociale”. Sono stati i messaggeri di Dio legati alla buona letteratura dell’infanzia. Alla lezioncina della “dottrina” di suor Carmelina che mi ha parlato dell’angelo custode, che sta accanto a ogni bambino. Alla preghiera rivoltagli ogni mattina in classe con la maestra e la sera con mamma. Li ho visti, ricordando il testo di Lucio Dalla Se fossi un angelo nelle scatole dei presepi, nelle processioni. Stanotte, invece, sono stati miei interlocutori. Li ho invitati a scendere a bassa quota, a visitarci. A prendere contatto, con appositi voli di atterraggio, con le nostre vite, col nostro tempo, con la pandemia. A indicarci percorsi da compiere. A non farci smarrire nei bui labirinti dei nostri egoismi. A tracciare vie di speranza. A illuminarle, qualora non riuscissimo a vederle, perché accecati dalle bende dell’individualismo esasperato. A insegnarci e a educarci a camminare insieme. A incarnare sulla terra, come uomini, quel loro essere in cielo schiera di angeli che in coro canta ed esulta.

Quando la mia veglia di preghiera in compagnia degli angeli stava per concludersi, un’ordinata schiera di volti cari mi ha raggiunto. C’è quello di Gabriella e di Mariam. Gabriella ha scoperto di essere positiva al Coronavirus una settimana prima del parto. È andata subito in isolamento. Ha raggiunto l’ospedale con l’ambulanza del 118. Senza stringere la mano del marito o di un familiare. Mariam, appena nata, è stata “tamponata”. Il primo tenero bacio della madre è stato sostituito dal sussulto di un tampone nelle sue piccolissime narici. È risultata negativa. Ma la mamma non l’ha potuta tenere tra le sue braccia. Né la piccola ha potuto succhiare il latte dai suoi capezzoli. L’ha vista a distanza. Da una vetrata. Gabriella è ancora positiva. È rientrata a casa dove ha riabbracciato gli altri due suoi bambini, positivi anche loro. Mariam è accudita dalla suocera. Vede crescere Gabriella guardando le foto dallo schermo del suo smartphone. Sguardi “virtuali”. Spezzati. A distanza. Simili a quelli degli angeli su di noi. Mi piace chiamarli entrambi sguardi biblici. Sono quelli invisibili. Quelli che fissandoti ti indicano sempre, con la luce pura dell’amore, la via che ti riporta nel grande attico della speranza. Stavolta, entrandovi, sul pavimento non vi era più nessuna goccia nerastra. Solo tante impronte luminose. Quelle lasciate dai molti angeli senza ali che con il loro sguardo biblico hanno tracciato il disegno del volto di Dio nel cammino della mia vita. Auguro a me stesso e a te, caro amico, di ricevere e donare in questo nuovo anno tanti sguardi biblici. Per essere angeli di speranza nella storia di chi ti sta accanto. Auguri. Di cuore.