Quella della Natività di Betlemme è una delle Chiese cristiane più antiche, edificata nel 330 circa dall’Imperatore Costantino I. Un luogo unico della Cristianità che tra il 2013 e il 2020 è stato oggetto di un importante lavoro di restauro affidato all’Azienda Piacenti Spa di Prato che ha vinto una gara d’appalto internazionale sotto l’attenta vigilanza di un Comitato palestinese per il restauro della Basilica che ha curato l’iter progettuale e le varie fasi dei lavori e che ha messo insieme una squadra di tecnici e operatori specializzati portando a termine un lungo lavoro di restauro, conservazione e valorizzazione della Natività.

Il Comitato è nato su iniziativa dell’Autorità Nazionale Palestinese che nel 2010 è riuscita ad accordarsi con le tre comunità cristiane che gestiscono la Basilica (ortodossa, cattolica e armena).

Tra le 170 maestranze che hanno lavorato all’importante progetto di restauro anche siciliani, alcuni provenienti dalle Madonie, ed in particolare Giuseppe Salvaggio, restauratore che tra il 2015 e il 2017 si è unito alla squadra.

Nato a Petralia Sottana nel 1985, Giuseppe ha conseguito la Laurea triennale a Palermo in Scienze e Tecnologie per i Beni Culturali e successivamente la laurea quinquennale in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali presso l’università del capoluogo siciliano. Successivamente ha conseguito un master di secondo livello in Materiali e Tecnologie per i Beni Culturali (Methods, Materials and Technologies for Cultural Heritages) presso l’Università Roma Tre. Attualmente è presidente dell’Azione Cattolica diocesana, incaricato regionale e membro della commissione nazionale itinerari formativi per l’Acr, e di recente è stato nominato dal Vescovo di Cefalù, S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante, membro della Consulta BB.CC.EE. ed Edilizia di Culto della Diocesi,

Lo abbiamo incontrato per farci raccontare dalla sua viva voce questa importante esperienza professionale, umana, spirituale.

Giuseppe tu hai fatto parte del team che ha lavorato dal 2013 al 2020 al restauro della Basilica della Natività a Betlemme. La prima domanda, a pochi giorni dal Natale, non può che essere: quali sono stati i tuoi sentimenti nel lavorare a questo importante restauro non solo di un luogo di importanza storico-artistico e culturale ma anche carico di valore simbolico, uno dei luoghi più importanti della cristianità, il luogo dove nacque Gesù?

Sono arrivato a Betlemme a maggio 2015 quasi un mese dopo aver conseguito laurea quinquennale in conservazione e restauro. Un’emozione unica. Avevo avuto altre esperienze di restauro ma poter toccare con mano quei mosaici all’interno della Basilica della Natività, realizzati nel 1100 e che nessuno aveva fino ad allora restaurato, ha avuto un aspetto emotivo molto elevato. Un’esperienza fortissima poter visitare i luoghi della cristianità, “abitarli” toccarli con mano è qualcosa che non si può descrivere.

Vorrei ringraziare chi mi ha dato la possibilità di lavorare in un posto così particolare.

Per quanto tempo sei stato a Betlemme?

Sono stato a Betlemme per quasi due anni, da maggio 2015 a fine febbraio 2017 ed è stata un’esperienza lavorativa, umana e spirituale unica.

Quale è stato l’aspetto più forte di questa tua esperienza?

La possibilità, al termine di una giornata di lavoro, di scendere nella grotta e vivere li qualche minuto. Chi viene in basilica da pellegrino può vivere la grotta per qualche istante per fare spazio agli altri, in alcune giornate passavano anche migliaia di pellegrini. La mia fortuna era quella di poter scendere e vivere la grotta in qualsiasi momento e vivere la celebrazione eucaristica domenicale, un momento di spiritualità completamente diverso.

Un anno, a ridosso di Natale, ho vissuto il ritiro di Natale in grotta, un momento per un cristiano da un’intensità unica.

Come si è svolto il lavoro di restauro, quale era il tuo compito?

La ditta per cui lavoravo era la Piacenti spa, una ditta italiana di Prato che ha vinto una gara d’appalto internazionale per restaurare la Basilica della Natività , un lavoro di restauro e conservazione pensato con un Comitato palestinese che poi curato tutto l’iter progettuale e la fase dei lavori.

I lavori sono iniziati con la copertura, per poi passare agli intonaci e ai mosaici. C’erano ovviamente diverse squadre ognuna con il proprio compito: chi si occupava dei mosaici, chi degli intonaci e un gruppo di palestinesi che aiutavano nei lavori.

Nei miei due anni di lavoro mi sono occupato principalmente dei mosaici, ma ho lavorato anche al restauro degli intonaci del transetto, della trabeazione lignea in cedro del Libano di epoca costantiniana e, successivamente, delle facciate esterne della basilica.

Come è stato toccare con mano quei mosaici a distanza di quasi mille anni?

Quei mosaici hanno attraversato le guerre, tra le tessere abbiamo trovato abbiamo trovato all’interno dei mosaici delle pallottole sparate dagli ottomani e rimaste incastonate tra le tessere per diversi secoli.

Considera che dei circa 2mila metri quadrati di mosaici presenti in origine all’interno della Basilica purtroppo ne sono rimasti poco meno di 150 metri quadrate tra navata centrale, transetti e abside, mosaici che con il restauro abbiamo portato alla loro antica bellezza.

Durante il nostro lavoro di restauro abbiamo mappato una ad una le tessere e abbiamo integrato le lacune presenti con la tecnica della malta incisa, una tecnica di integrazione con una malta dove viene inciso l’andamento delle tessere del mosaico e pigmentata in modo tale conservare la leggibilità delle immagini ma dando la possibilità di distinguere la parte originale da quella aggiunta con il restauro.

Cosa è raffigurato nei mosaici superstiti e cosa ti ha colpito di più?

La particolarità di questi mosaici è che le tessere auree avevano una inclinazione per cui la luce che arriva da sopra esce dalla parte dorata creando un effetto luminoso molto suggestivo.

Chi ha realizzato quelle opere ha pensato all’effetto che doveva avere su chi le guardava.

Nei mosaici superstiti sono raccontate la genealogia di Cristo, alcuni concili, nel transetto sono presenti alcuni frammenti dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, della Trasfigurazione di Cristo e dell’Ascensione oltre all’episodio dell’incredulità di San Tommaso.

È vero, gran parte dei mosaici è purtroppo andata perduta, ma ciò che è rimasto racconta come la cristianità riusciva anche ad integrarsi. Anche se realizzati dopo lo scisma i mosaici presentano scritte sia in latino che in greco segno che per la cristianità quei luoghi erano segno di comunione e sinodalità.

C’è stata una scoperta particolare durante la tua permanenza?

Ricordo che poco prima del mio arrivo era stato individuato e poi abbiamo riportato alla luce, nella navata centrale un angelo nascosto dall’intonaco che insieme agli altri accompagnava i visitatori verso la grotta.

Durante i lavori di restauro la basilica è stata chiusa ai pellegrini?

Fin da subito una delle richieste del Comitato fu quella che durante il restauro la Basilica restasse aperta e visitabile dai pellegrini che ogni giorno vi si recavano in preghiera.

I ponteggi erano quindi stati pensati affinchè si potesse lavorare senza disturbare le celebrazioni. Un’attenzione importante verso le celebrazioni e i pellegrini dimostrati dall’Azienda e da parte del Comitato per il restauro della Basilica.

Come era organizzato il vostro lavoro?

Il lavoro era coordinato da un capocantiere italiano. Ogni squadra aveva il suo compito con il supporto palestinese che era fondamentale per esempio nel reperimento dei materiali locali, certi materiali invece arrivavano dall’Italia.

Un bell’esempio di integrazione creato dai musulmani che erano molto partecipi del lavoro. Anche per loro infatti la basilica era luogo di culto, soprattutto il venerdì, perchè riconoscono Cristo come profeta. La loro presenza era fondamentale. Nel tempo si è creato un insieme di culture molto bello.

La bellezza dei legami che si sono creati con i componenti delle varie squadre, siamo diventati una famiglia. Eravamo lontani da casa ma vicini in maniera diversa tra di noi. Con alcuni ci sentiamo ancora oggi.

Cosa porti oggi con te di quella esperienza? Cosa ti rimane di quel periodo?

Sia sotto il profilo professionale che umano è stato un momento di crescita. Aver restaurato quei mosaici, mi ha permesso insieme ad altri colleghi e ad altri esperti provenienti da tutto il mondo, di far rivivere quel luogo una sensazione unica.

Professionalmente un’esperienza molto molto alta, dal punto di vista umano un’occasione bellissima che mi ha permesso di conoscere altre culture, altre realtà che sentirle raccontare non è la stessa cosa. Vedere per esempio quello che si prova al di qua del muro è qualcosa che fa riflettere. Sotto il profilo della fede è stata sicuramente un’esperienza molto forte.

Durante la mia permanenza in Palestina ho avuto la possibilità di visitare oltre Betlemme anche Gerusalemme, Nazareth, i luoghi simbolo della cristianità in cui si avverte qualcosa che non è possibile spiegare e che fa riflettere sul proprio percorso di fede.

Qualcosa che ti segna profondamente. Ho avuto la possibilità , per esempio, di vivere la domenica delle palme e la Settimana Santa in quei luoghi e ho avuto modo di rivivere quei momenti in modo molto differente: dai passi del Vangelo a Gerusalemme è una cosa molto bella.

Un momento che mia ha colpito è la Celebrazione del Giovedì Santo nella Chiesa delle Nazioni, accanto all’Orto degli Ulivi. La liturgia di quella sera, viene celebrata in tutte le lingue del mondo per simboleggiare l’unità, il percorso sinodale di tutta la Chiesa Universale. Visitare la basilica del Santo sepolcro o camminare attraverso la via dolorosa sono momenti che ti toccano nel tuo cammino di fede.

da piacenti.org. Foto Egisto Nino Ceccatelli