Oggi è il mercoledì delle ceneri. Da piccoli ci hanno insegnato che è l’inizio della Quaresima. Tempo forte dell’anno liturgico. Tempo di preghiera e di penitenza. Quest’ultima addolcita per noi bambini dai famosi e indimenticabili “fioretti”. Rinunciare a dolci, caramelle, patatine. A ogni leccornia. Era un litanico ritornello che attraversava le nostre tenere vite. A casa, in parrocchia e a scuola. Facevano tendenza i peccati di gola. Da evitare soprattutto nei venerdì.

Crescendo, dai “fioretti” siamo approdati alle buie “mortificazioni”. A dire il vero, poco praticate perché bagnate solo dalle gocce dell’aridità. Crescendo ancora annegavamo tra le gelide acque del “sacrificio”. Da farsi perché si doveva fare. L’aveva fatto per primo Gesù. Un tautologico incrocio di parole al cui centro ruotava una “Verità” troppo alta per essere accolta e compresa tra le arrugginite griglie della dottrina del dovere.

Anche da seminarista ricordo che sentii dire ad un apprezzato predicatore quaresimale che il passaggio dal (s)offrire all’offrire non comporta grosse fatiche. Basta togliere solo una S iniziale. Frasi ad effetto. Acquistate a costo zero al mercatino spirituale delle pulci. Quello frequentato dai tanti pseudo contemplativi della “non” azione. Dell’usato senza passato. Dove, purtroppo, la storia non conosce la primavera delle evoluzioni, dei cambiamenti. Quelli che nella “hall” dei tanti convegni pastorali ci hanno insegnato a chiamare “i segni dei tempi”. Hanno un loro fascino. Lo sappiamo bene. Talvolta, siamo abili anche nel riconoscerli. Ma preferiamo guardarli a distanza. Come le stelle col telescopio.

Intanto, la storia cambia. Anche della Chiesa. Cambia quando c’è la profezia. Quella che, generata dall’ascolto filiale e fiduciale della Parola, ci fa essere umili cantori della vita. Dell’Amore. Autentici profeti di umanità. Costruttori, o meglio, facitori della pace. Come diceva don Tonino Bello: «Occorre precisare che la pace è dono di Dio affidato alla nostra responsabilità». Si scommette sulla pace non solo con fiaccolate, marce, striscioni e raduni. Sono dei segni rispettabilissimi di protesta alla guerra. Ma va anche puntualizzato che il cammino della pace parte da scelte concrete di pace che devono incontrarsi col mio prossimo. Con chi mi sta accanto. Con mio marito, mia moglie, il mio ex compagno-a, i miei figli. Mio fratello, mia cognata, mia nuora, mia suocera. Il mio vicino di casa, il mio collega di lavoro…

È un bluff, è un vecchio carnevale in maschera con tutti i suoi coriandoli e le sue trombette dell’ipocrisia, il chiedere la pace nella preghiera in chiesa e poi negare il saluto al prossimo più prossimo. Come è anche un bluff, asseriva il santo vescovo di Molfetta: «Pregare per la pace e poi non muovere un dito per denunciare la corsa alle armi, il loro commercio clandestino e la crescente militarizzazione del territorio». Poi diceva ancora che: «I nostri pozzi della pace sono le stimmate del Risorto». Un’affermazione per me nuova. Di prima mano. Mi ha incuriosito. Dato da pensare e “lavorare”. Per me, per ogni mio fratello e sorella.

In questi giorni di guerra ho compreso che le stimmate del Risorto posso toccarle con le mani della mia fede e dell’intelligenza della mia fede. Ogni volta che bevo acqua ai numerosi pozzi di pace che trovo ascoltando la Sua Parola. Per certi aspetti è una preziosa e potente scoperta. Dobbiamo educarci a pregare per la pace, sostando ai pozzi della Sua Parola. Perché sono questi i luoghi dove possiamo toccare le stimmate del Risorto. Quelle che sanano le ferite e le cicatrici della morte del nostro corpo e della nostra coscienza quando non sa riconciliarsi col suo prossimo più prossimo. Le uniche che sanno smascherare la logica di tanti volgari opportunismi pubblici e privati che hanno ridotto i crimini in opinioni. Le sole a gridare, direbbe il caro don Tonino, che: «Non bisogna mai scommettere sulla pace lontana dalla giustizia». Ce lo insegna Isaia, ce lo ricorda il salmo 85.

La guerra della Russia all’ Ucraina è il frutto amarissimo di vecchie macerie civili e morali. Le abbiamo seppellite con i nostri silenzi di fronte agli inizi di ogni sistema di male, di ogni forma di comodo e diabolico opportunismo. Bisogna ripartire dalle stimmate del Risorto. Ognuno deve toccarle entrando e sostando nel Silenzio della stanza dell’ascolto. Quella dove la Parola si fa nostra vita, cammino di vita. Dove la pace resta il quotidiano martirio “bianco” di ogni cristiano. Dove i fioretti, le mortificazioni e la campagna dei sacrifici soft cedono il posto a un cammino di fede che non conosce solo il colore viola dei paramenti quaresimali, ma anche il bianco-luce. Quello della Pasqua. Dei risorti in Cristo. Il colore della speranza cristiana tutta fatta di pace e giustizia, di giustizia e di pace.