È stata una notte fatta preghiera, quella dello scorso 8 luglio. Ricorreva il primo anniversario della nascita al cielo di frate Umile. È stata una di quelle lunghe notti d’estate trascorse in aperta campagna, respirando gli inconfondibili profumi del gelsomino e della citronella. Una di quelle notti dove ricordi, volti e storie, con la fastidiosa compagnia di intrepide zanzare, hanno preso il posto delle piume del cuscino. Un sinodo di ricordi. Belli. Vivi. Scolpiti nell’intelletto e nel cuore. Per pigrizia ancora privi del sigillo della gratitudine. Proprio quella sera compresi che c’era una sorta di santo debito da saldare, non solo con fra’ Umile ma con tutta la famiglia dei frati minori rinnovati.

Questo testo ne vuole essere lo strumento più semplice e più eloquente. La prima volta che ascoltai padre Franco Minola era la Quaresima del 1985. Giungeva a Collesano per la predicazione della settimana santa. Il parroco di allora, monsignor Angelo Onorato, non ne era affatto entusiasta; voci di corridoio, da raffinate stanze ecclesiastiche, lo avevano definito un frate fuori dal tempo, una sorta di intrepido sognatore. Il cambio di rotta avvenne per le insistenze di qualche laico fidato, ma soprattutto per le garanzie che diede il vescovo Emanuele Catarinicchia. Intanto, in paese si parlò subito e tanto del frate, come di un San Francesco “rinnovato” che arrivava da Corleone. In autostop. A piedi nudi. Con un solo zaino. Era alto. Con una lunga barba già brizzolata. Indossava un saio grigio cenere, di stoffa grezza. Era l’icona di quella povertà sine glossa che ti stordisce e ammutolisce. Le sue omelie nei giorni della settimana santa e le sue meditazioni per la Via Crucis della mattina del venerdì santo furono un “arsenale” di grazia. Riuscirono a fare bersaglio in ogni angolo dei cuori di tutti. Anche nel mio. Volevamo “acchiapparle”. Senza lasciarne scappare una parola. Ci affidammo, pertanto, all’uso di un modesto registratore e a delle miracolose cassette mangianastri. Per riascoltarle e trascriverle. La dizione di ogni parola non solo era perfetta, ma evidenziava nobili origini. Infatti, a distanza di qualche giorno, si fece strada la notizia che il papà Enrico fosse un torinese, intimo amico di Gianni Agnelli e socio della ricca FIAT. Il fascino di una scelta di vita scandita dalla radicalità evangelica traspariva dai tanti gesti quotidiani del frate. Venivano “fotografati” e raccontati da quanti in quei giorni gli stavano accanto. Sembravano rivisitare alcune pagine delle fonti francescane o dei fioretti di san Francesco. Mai come una sorta di rapido e formale copia e incolla perché generati dal fervore della fedeltà alla regola del poverello di Assisi.

Fra’ Umile a tavola “allungava” il vino con l’acqua, non beveva alcuna bevanda; puliva, meglio, faceva brillare il suo piatto con educazione e grazia utilizzando l’antico metodo della “scarpetta” con i bocconcini di pane. Quando ha visto per la prima volta il parroco si è prostrato ai suoi piedi e gli ha baciato la mano. Gesto che si è poi sempre ripetuto – io stesso ne sono stato testimone – quando veniva in parrocchia. La signorina che lo ospitava si accorse che il religioso, per dormire, non usava il letto, ma il nudo pavimento. Alla fine del soggiorno le lenzuola erano infatti rimaste pulitissime. Immacolate. C’era una scelta del frate e dei suoi compagni di avventura che fra tutte aveva preso il sopravvento: il non fare uso del denaro, non avere in tasca il celestiale portafoglio. Per la comunità, soprattutto per i giovani, fu una verità difficile a comprendersi. Anche per le sue ripercussioni concrete nella vita quotidiana. Divenne nel tempo oggetto e soggetto di tante discussioni, talvolta anche accese, sul vero significato della povertà e sul modo di incarnarla nel nostro tempo. Le differenti letture restavano tutte rispettabilissime ma sempre incomplete a fronte di una testimonianza che prendeva a calci la nostra sete di agiatezza, di sicurezza economica, di perbenismo. Era come se ci venisse posto dinnanzi un pozzo dove potere attingere una nuova acqua.

Non tutti potevamo berla nelle stesse quantità o in abbondanza, ma a tutti era consentito berla a piccoli sorsi. Ricordo che si smorzò in alcuni di noi quella spasmodica ricerca di indossare capi di abbigliamento firmati, di portare al polso gli orologi alla moda, di guardarsi nello specchio double face del piacere e del piacersi e di pensare di essere il principe o la principessa del momento. La presenza di quell’umile frate riuscì a portare tra le mura della basilica anche quanti appartenevano alla categoria dei “lontani”. Iniziarono le lunghe, le lunghissime file per le confessioni. Fra’ Umile passò intere giornate dentro il confessionale. Senza mai dare segni di stanchezza o di impazienza. Il suo volto profumava di serenità, gli occhi penetranti sembravano raccogliere le miserie e le povertà di ogni penitente. Inchiodato su una dura panca, arrivò a confessare fino alle quattro del mattino.

Negli anni futuri sia per padre Umile che per gli altri frati rinnovati che ci raggiunsero le confessioni si concludevano spesso a tale ora. A tal punto che qualcuno ebbe l’accortezza di preparare puntualmente del caldo caffè. Arrivava nei coloratissimi thermos che si svuotavano in un batter d’occhio. Dalla celebrazione del sacramento del perdono quasi tutti uscivano rinati. Alcuni non vi si accostavano più da venti, addirittura da trenta anni. L’immagine di tanti volti col viso bagnato dal pianto mi è ancora dinnanzi. Intanto, l’acqua di quelle lacrime silenziosamente si posava sul “terreno” dove la mia possibile chiamata al sacerdozio ministeriale iniziava a compiere i suoi primi lentissimi passi. Quell’acqua possibilmente ha contribuito a fare in modo che quel seme diventasse una pianticella. Adesso devo fare una pausa. È impellente il rischio che a breve anche il mio volto possa essere rigato dalle lacrime. Di gratitudine. Quella che tocca il Cielo. Quella che lo scorrere del tempo rende sempre più bella. Più vera. Come le radici di un albero sempre verde.

Continuerò sulle pagine di Percorsinodali a raccontarvi di fra’ Umile, dei frati rinnovati e anche delle sorelle minori di San Francesco. Lo farò. Per imparare insieme a scegliere la via della gratitudine come il primo passo da compiere per il nostro domani.