Il nostro vescovo Giuseppe, con una profonda preghiera nel giorno della solennità dell’Assunzione di Maria, ci ha invitato a pregare con i fratelli cristiani d’Oriente. Ci ha ricordato che festeggiano “l’addormentarsi della tutta Santa”. Il verbo addormentarsi è un’ efficacissima metafora cristiana della morte. Lo utilizziamo quando dobbiamo dare notizia ai bambini della morte dei nonni e, con fatica infinita, di quella di mamma o papà. Sottovoce diciamo loro che dormono. Riposano con Gesù. Eppure, se paragonato a quello della Madre di Dio, quell’addormentarsi ha spalancato le porte a una nuova “alba” della mia riflessione e della mia preghiera.

Mi ha aiutato a celebrare, senza la presenza delle arrugginite scorie di dolci e ruffiani devozionismi, questa solennità tutta dedicata a Maria. Una solennità che associa la morte della Vergine di Nazaret alla vita eterna, al Suo essere madre senza tempo della Chiesa e dell’umanità intera. Di ogni figlio di Dio. Una solennità che si fa voce silenziosa e laboriosa dell’inarrestabile maternità di Maria. Lei abbandona i mega attici senza pareti del Cielo, interrompe il Suo dormire per visitare le stanze della nostra fede, specialmente quelle più buie e squallidamente vuote. Quelle prive delle finestre dalle quali “vedere” i beni invisibili che Dio ha preparato come Sua eredità per ognuno di noi. Beni che addirittura, come recitava l’orazione-colletta della scorsa domenica, superano ogni nostro possibile desiderio. L’addormentarsi di Maria è un’espressione bella, vera e straordinariamente delicata. Ha dato acqua al giardino delle mie riflessioni rendendolo fiorito. L’ho accolta come un’espressione “calda” che prende le distanze da quell’esperienza indescrivibile che tutti abbiamo vissuto. Quell’esperienza che ci ha fatto toccare con le nostre stesse mani il volto marmoreo, freddo e gelido della morte, ogni qualvolta abbiamo donato l’ultima carezza al viso, l’ultimo bacio sulla fronte a un nostro familiare o amico che ci ha lasciato per sempre. L’addormentarsi della tutta Santa è un’immagine vivida, illuminata e illuminante, ricamata con i fili dorati della sapienza divina. Eppure, a dire il vero, fino a ieri non riuscivo a pensare alla Madre di Dio, del Salvatore e del mondo intero come l’addormentata o la dormiente.

Però, se penso alla differenza abissale che vige tra il dormire e il morire e all’esatta lettura che il cristiano deve dare alla morte, la difficoltà subisce un brusco arresto. Viene cancellata. Un corpo che dorme è vivo. Custodisce il calore della vita. Basta un semplice rumore, una voce, un invito, una preghiera e si sveglia. Ecco perché mi lasciano senza parole certe statue di Maria colpita dal sonno della morte. Mi ricordano tanti corpi di cari defunti visitati nelle loro case prima di essere rinchiusi nelle bare, circondati da quei vasi e mazzi di fiori che restano le tracce visibili di un ultimo saluto che porta con sé il profumo della gratitudine. Però c’è il rischio annusabile che quello stesso profumo venga schiacciato dall’effluvio asfissiante della rassegnazione.

Per questo nel giorno della Solennità “dell’addormentarsi della tutta Santa”, ho provato a ricordare alcune delle infinite volte nelle quali ho visto Maria “interrompere il sonno della morte” per essere la madre della vita e della speranza. L’ho incontrata negli occhi azzurri di Enrica quando, dopo forti e continui schiaffi, si sono lentamente riaperti riempiendosi di lacrime. Si era imbottita di ogni tipo di farmaci. Aveva tentato il suicidio. Perché dopo 12 anni di assoluta fedeltà il suo compagno l’aveva cestinata di botto per una nuova fiamma. Dopo qualche anno ha incontrato il suo angelo. Oggi è mamma di tre bellissime bambine. Tre angeli biondi. Con gli occhi azzurri.

La incontro ancora negli occhi di tutte le madri che hanno i cuori frantumati per la morte dei figli. La intravedo nello sguardo ricco di vita di mia madre. Anche lei ha perso un figlio. Quando mi osserva col suo luminoso silenzio mi sussurra che continua ad amare la vita anche perché ama me e il mio domani con i nostri sogni.

La incontro ogni volta che raggiungo la mia amica Anna Laura. Il suo colon è stato “ baciato” da quel “Giuda maledetto” chiamato cancro. Da più di un anno ha iniziato la via Crucis della chemioterapia. Con le sue fermate. Nel suo fragile corpo c’è tutta la forza della vita. È avvolto e custodito dalla luce solare della fede. È come se quel brutto e maledetto bacio di “Giuda” fosse schiacciato dal quotidiano, tenero e benedicente bacio di Maria. La Madre della vita si alza di buon mattino, scende dai piani alti del Cielo per abitare anche quell’angolo di cielo che è il corpo di Anna Laura. Lo accarezza con le sue mani. Una della consolazione e l’altra della speranza. Mani che toccano anche il cuore e l’intelletto di Giovanni, il marito. Sì, perché lui oggi l’ama con la sapienza del cuore. Con quell’amore tenace e paziente che sa fare scomparire paure, affanni, scoraggiamenti. Quell’amore profondo che si fa attesa di quell’attimo mai fuggente della speranza perché nutrito di fede. Della forza vera della fede.

L’ho incontrata anche ieri. Nelle lacrime pure e oneste di Maria Chiara. Mi ha chiesto anche soli cinque euro mostrandomi il suo portafoglio vuoto. Le ho chiesto se avesse bisogno di ricevere un aiuto per pagare eventuali bollette di luce, gas e telefono. Con la purezza del cuore del vero povero mi ha detto che ce l’avrebbe fatta perché attendeva dei soldi per lavori svolti. Quella modestissima cifra le serviva per comprare il gelato ai suoi bambini. Da due giorni piangevano per averlo. Nel cuore di Maria Chiara ho visto il riflesso del cuore di Maria. Con la sua piccola corsa per strappare un sorriso anche ai figli più piccoli. Le mamme a volte sanno che per rendere felici un figlio basta veramente poco. Per amore dei figli sanno farsi bambine. Maria Chiara, per certi aspetti, mi ha fatto balzare in mente quella bellissima immagine della Madonna, tipica dell’iconografia orientale. Quella dove Gesù prende in braccio la madre, diventata piccola come una bambina per rivestirla di gloria.

Queste donne, insieme a tantissime altre voglio chiamarle “le Assunte del nostro tempo”.

Sono tutte donne rivestite di gloria. Come Maria, non prendono sonno.

Sono madri che vivono. Di amore.