L’esperienza di servizio al Cottolengo di Torino

«Charitas Christi urget nos». Questo motto programmatico iscritto su quasi ogni facciata della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino colpisce subito chiunque vi si reca per la prima volta. «L’amore di Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14); leggendo questo, mi sono più volte chiesto: In che senso? Perché queste parole sono così importanti per la realtà ecclesiale del Cottolengo? Possono anche essere vere per me? All’inizio, non fu facile accogliere quest’affermazione paolina in prima persona singolare; se prima non osavo dire “l’amore di Cristo mi spinge”, i giorni trascorsi presso la Piccola Casa mi hanno insegnato a dire, seppur sempre balbettando, che “l’amore di Cristo ci spinge, e nemmeno io posso rimanere fermo”.

Da venerdì 15 luglio, verso l’una di pomeriggio, al 14 agosto, la domenica in cui abbiamo lasciato il Cottolengo, sono stato immerso in una realtà poco conosciuta, se non mai vissuta pienamente in tutto il mio percorso formativo. Qui, certo, si parla di percorso formativo, perché la mia esperienza al Cottolengo si iscrive originariamente in questo contesto; sono stato mandato dal vescovo diocesano e dai formatori per questo servizio, per un tempo ben determinato e in un luogo appositamente scelto; questa, insomma, era la mia disposizione iniziale. Avevo già inserito questa esperienza in un quadro mentale molto formale, in cui avrei fatto quello che mi veniva chiesto, né più, né meno. Nonostante ciò, adesso sono felice di affermare che è accaduto tutto il contrario di ciò che mi aspettavo; chiamatela come volete, fortuna o imprevisto, io la chiamo “provvidenza divina”. Se avessi svolto un servizio del tutto formale e non animato da altro, sarebbe stato disonesto parlare qui di “testimonianza”; avrei dovuto parlare di “resoconto”. Ugualmente, «Charitas Christi urget nos» non avrebbe avuto finora nessun senso per me. Invece, posso veramente dire che questa carità di Cristo cambia lo sguardo di chi la incontra; per questo, smisi ben presto di voler adempiere un dovere formale ed iniziò per me una vera e propria esperienza spirituale. Stare ogni mattina accanto agli ospiti del reparto “Sacra famiglia” – FRASSATI, alzare “questo”, lavargli la faccia e le mani, fare la barba a “quello”, la doccia a quell’altro, portarli alla sala da pranzo ed imboccarli, portarli fuori per una passeggiata e la sera lavare le loro dentiere prima di ricevere un felice bacio da loro in segno di “buonanotte”, tutto questo mi ha fatto sostare più volte in silenzio alla fine del giorno e dire dentro di me: «Guarda, c’è molto di più in questo servizio!» Infatti, circolava l’amore di Cristo in quell’ambiente; e questo mi ha profondamente colpito. Sì! Quel sorriso, quel sorprendente “grazie” da una bocca che dice appena qualche parola al giorno, quella mano fragile che mi segnalava un bisogno proprio o altrui, quella era la Charitas Christi che mi afferrava e non potevo rimanere fermo.

Ora, non pretendo di poter parlare meglio di chiunque delle sofferenze umane o delle fragilità delle persone anziane; tanti avranno da istruirmi ancora a riguardo, più di quanto gli ospiti del Cottolengo l’abbiano fatto. Ma sicuramente ho imparato molto; e la cosa più importante fu appunto la consapevolezza di essere spinto anch’io dall’amore di Cristo. Da fedele cristiano, non lo dimenticherò mai. Oltre a ciò, che cosa ho potuto custodire nel mio percorso formativo, da seminarista? Tantissimo! La stessa vita quotidiana della realtà ecclesiale del Cottolengo (Presbiteri, Suore, Fratelli, ospiti, dipendenti e altri volontari vari) mi ha segnato molto per la sua opera intensa, bensì sempre cadenzata da momenti di preghiera e anche di giovialità. Racconterei con grande piacere e nei dettagli questi momenti indimenticabili in un’altra sede. Nelle poche linee che restano, vorrei brevemente condividere una delle tante conversazioni interessanti che ho avuto con gli ospiti del Cottolengo. Quella mattina, come tutte le altre, dovevo aiutare gli OSS a preparare gli ospiti per la colazione. Una volta messi in carrozzina, bisognava lavare la faccia, le mani, pettinarli, profumarli e così via. Di solito mi occupavo degli uomini e col tempo diventava quasi automatico. Quel giorno però, mi capitò una donna di nome Regina. Mi avevano mandato nella sua stanza per portarla in sala da pranzo; ahimè, non era ancora pronta, e davanti allo specchio del suo bagno, aspettava che qualcuno le venisse a dare una mano. Ed ero arrivato lì, in quel momento! Lavarle la faccia e le mani fu abbastanza facile. E poi? Bisognava adesso pettinarla! Dissi dentro di me: “Gli anziani che pettinavo non si interessavano molto dell’esito, perché a noi uomini non importa molto… Ora si tratta di una donna; anche se è anziana, capirà subito se non è fatta bene, senza neanche guardarsi allo specchio”. Così mi sentii costretto di premettere: “Sig.ra Regina, io faccio il seminarista, non il parrucchiere; quindi non incolparmi dell’eventuale insuccesso di questa pettinata”. Con il solito tono basso e la sua emissione di voce molto rallentata, la Regina mi rispose: “devono insegnarvi a pettinare, in seminario”. Solo dopo ho cercato di capire il vero senso di queste 6 parole; una semplice battuta non sarebbe rimasta così impressa nella mia mente e nel mio cuore. Non era soltanto una questione di pettinata femminile; voglio pensare che si tratti di molto di più. Si tratta di Bellezza. Sì, saper rendere l’altro bello, perché solo la bellezza ci giova. Quanto siamo desiderabili, persino nella vecchiaia! E lo siamo perché siamo amati da Dio, il Bello per eccellenza. DEO GRATIAS!