Cara Maria, piccola donna di Nazaret,da ieri sei entrata nel tempo e nel “tempio” della mia preghiera, come Colei che sa farci varcare la soglia dello scoraggiamento, per non lasciarci ghigliottinare dalla mannaia della rassegnazione pastorale e sociale. Ecco perché stasera sei nel “cuore” di questa lettera come la destinataria prescelta. Ho pensato, infatti, subito a Te, dopo avere letto, tutto d’un fiato, la dichiarazione finale condivisa da ben trenta vescovi italiani. Saprai sicuramente che si sono incontrati per elaborare una pastorale per le aree interne. Quelle aree dove la speranza fa le sue valigie con i tanti giovani che lasciano padri, madri, fratelli, sorelle, case e campi, in nome del lavoro per ricevere il pane quotidiano. Per vivere dignitosamente.Ti confesso che attendevo questo testo. Come i contadini e i pastori delle nostre terre aspettano le piogge dopo mesi interminabili di aridità. In questo documento le nostre “Eccellenze” hanno scritto che proprio le aree interne «Sono, per analogia, come la piccola Nazareth, marginale, eppure custode della realtà più preziosa». Tu hai abitato Nazareth. Lì l’arcangelo Gabriele ti ha dato l’annuncio della nascita di Gesù. In questo villaggio poi sei stata accanto a Lui negli anni della Sua infanzia e giovinezza. A tal punto che sul cartiglio posto sulla Sua croce fu identificato come il nazareno.Però sono convinto che oggi del Tuo villaggio, diventato città capoluogo di distretto della Galilea con quasi 80.000 abitanti, sei principalmente un’illustre e rispettabilissima cittadina onoraria. Anche perchè hai deciso di abitare le tante piccole Nazaret sparse per il mondo, quelle dell’Italia, quelle del sud, quelle della nostra Chiesa di Cefalù. Come ogni madre saggiamente scegli di stare accanto ai figli più bisognosi, a quelli che necessitano di cure particolari e speciali perché fragili e malati. Le nostre aree interne, purtroppo, sono quasi tutte ammalate; tantissime gravemente, molte, addirittura, sono già agonizzanti. E Tu stai in piedi, ai piedi dei loro capezzali. Da dove è come se avessi suggerito a squarciagola ai nostri vescovi di scrivere: «Non ci rassegniamo di accompagnarle alla fine in una sorta di accanimento terapeutico, ma vogliamo costituirci baluardo, forza per difenderle, dando vita a reti solidali capaci di attivare sinergie». E così i nostri vescovi ci hanno messo tra le mani la bozza, o meglio, i tenerissimi virgulti di un nobile e nuovo progetto pastorale che si specchia nella storia. Profeticamente. Senza le eterne ombre vaganti di campanilismi episcopali, parrocchiali, religiosi e laicali.A te, Maria, piccola donna e madre delle tante Nazaret del nostro tempo, chiediamo di non farlo incenerire tra cassetti e armadi di curie, di uffici parrocchiali; tra le tante cartelle dei documenti che popolano i nostri affollatissimi computer “presbiterali”. Aiutaci a farne un impegno evangelico. Quasi da “terra promessa”. Perché i paesi delle aree interne potrebbero essere, con l’alta qualità di vita, quei piccoli “fazzoletti di terra promessa” sui quali scommettere per il futuro della Chiesa; le sedi dei nuovi grembi materni delle nostre Chiese capaci di diventare, come il villaggio dell’Annunciazione, laboratori silenziosi e laboriosi da dove ripensare e dare nuovo volto all’esercizio del ministero presbiterale e al sacerdozio comune di tutti i battezzati, a partire dai primi vagiti formativi. A te, Maria, che a Nazaret ti sei mostrata come la piccola donna che ha avuto il coraggio di uscire da ogni schema sclerotizzato; a Te, chiediamo di educarci, come facesti a Nazaret con Gesù, ad attingere all’intelligenza della fede per: «Rompere con la logica del “si è sempre fatto così”, per ripensare il rapporto tradizione-innovazione». A Te, la Donna del vino nuovo e degli otri nuovi, ci rivolgiamo per sostenere il nostro impegno a non abbandonare queste piccole comunità, dove la fede resta l’unica luce che dona speranza. A restarci. Perché le Tue Nazaret, possono diventare quegli otri nuovi dove poter versare il vino nuovo. Quello che ancora testardamente continuiamo a riporre nei vecchi otri, che si rompono sotto i nostri occhi. Disperdendo, fatiche, forze. Speranza.
