Caro Biagio,

la Parola del Signore ci sollecita e ci “solletica”. Ci stuzzica. Riesce a dare voce a delle riflessioni che non avevamo assolutamente messo in conto. Ne ho fatto esperienza col Vangelo della scorsa domenica, quello della festa del battesimo del Signore. Un versetto in modo particolare: “Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»”. Mi ha punzecchiato, mi ha invitato a cercare nel bagaglio delle mie esperienze il volto, un possibile volto “umano”, che fosse il simbolo della “paternità compiaciuta”. Perché sono pienamente convinto che su questa terra puoi “intravedere” il volto di Dio, solo se lo cerchi nei volti degli uomini. Mi son chiesto, pertanto, se l’avessi incontrato o almeno incrociato da qualche parte. Tante le ricerche nella lunga galleria dei ricordi, ma deludenti i risultati. Quando ho saputo della tua nascita al Cielo, improvvisamente i miei occhi si sono spalancati. Mi sono ricordato che il volto della “paternità compiaciuta” l’ho abbracciato con i miei occhi nel tuo volto. Quelle volte, purtroppo poche, che ho avuto il dono di incontrarti con i poveri: i tuoi figli e fratelli, i tuoi bambini e angeli. Erano per te lo specchio di Dio. Ognuno era il tuo piccolo specchio di Dio. Guardandoli, contemplandoli, avendone compassione, il Vangelo diventava quel lungo treno che attraversava ogni scelta della tua vita, sui binari della quotidianità e della prossimità. Senza mai conoscere il deragliamento causato dal culto osannante dell’apparenza e dalla vetrinizzazione della tua stessa persona. Non hai mai attraversato quel doppio e pericolosissimo binario del baccanale dell’esteriorità. Ma solo quello che dava il primato assoluto all’interiorità. Non sei mai stato il pellegrino che ha seguito mete e percorsi propri del turismo religioso. Hai girato in lungo e largo l’Italia. Senza sostare in hotel e alberghi stellati. Senza mai salire su bianche e maestose navi da crociera. Hai camminato a piedi. Con in mano il tuo immancabile bastone. Lunghe vie crucis. Con il piatto unico del digiuno e il peso di una croce “di legno” da portare. Col silenzio hai gridato al nostro mondo, che vive il tempo dell’inappetenza totale dei valori legati al povero e alla povertà, la tua fame di giustizia. Di Vangelo da incarnare. Di paternità da saziare. Rivedo ancora il tuo sguardo, il tuo sorriso, la luce dei tuoi occhi quando si posavano sul povero: erano l’icona della “paternità compiaciuta”. Il tuo sguardo lo era anche quando fissava o scrutava chiunque incontrassi, ma con un dettaglio diverso: era il volto della “ paternità compiaciuta” ancora in cammino. Perché per meglio definirsi serviva il suo aiuto, la sua solidarietà, la sua mano. Riuscivi a chiederlo senza parole. Ne faceva da eloquente megafono, la tenerezza mendicante del tuo sguardo. Dove si leggeva la bellezza di quel compiacimento, sempre incompleto, che possiede chi sa spogliarsi di tutto, per far indossare a ogni povero la bianca veste della dignità umana. Quella che tutti fin dalla nascita dovremmo portare addosso.

Tu, caro Biagio, con un tetto, un pasto, un letto, una doccia e una tua carezza hai permesso a migliaia e migliaia di poveri di diventare nuove creature, le hai rivestite della luce di Cristo. Lo hai fatto, poggiando sul corpo della loro vita, la veste della speranza generata dalla carità. C’è il battesimo sacramento. C’è il sacramento della vita. In te, caro Biagio, la vita battesimale ha avuto una crescita coerente e continua. È stata fino al tuo ultimo respiro, l’epifania della sequela pura e totale del Signore. 

Pura, perché hai fatto del povero il destinatario privilegiato del tuo seguire il Maestro, e dai poveri, sapevi molto bene, di non potere ricevere mai nulla di materiale in cambio. Né oro né argento. Né titoli né carriere. 

Totale, perché loro non solo sono stati i tuoi “secondi” maestri ma perché ogni povero è stato il tuo Cristo vivente e glorioso “in terra”. Perché ogni tua azione, anche la più piccola, destinata ad ognuno di loro, eri certissimo che fosse fatta direttamente a Gesù. 

Da seminarista sono stato ospite per qualche giorno nella tua prima casa in via Archirafi. Con fra Paolo, allora maestro dei novizi dei frati minori rinnovati. Il mio letto era il banco della cappella. La notte si dormiva pochissimo. Arrivavano fratelli e sorelle da servire. In quell’amabile alternarsi del vegliare e del servire ho abitato la tua cittadella. Quella abitata da Dio. Tu che «Non hai mai pensato a una città senza Dio», come ha affermato il tuo vescovo Corrado, concedici, caro Biagio, di potere incontrare nelle nostre città, piccoli tratti della “paternità compiaciuta” di Dio. Quella che hai incontrato in pienezza, da ieri, nella Città eterna.