All’inizio di quest’anno ho rimesso piede, dopo più di vent’anni, tra le mura della casa di una distinta e nobile signorina. Nel salirne i primi gradini percepii subito come, con lo scorrere del tempo, tutto fosse profondamente cambiato. C’era odore di muffa, di chiuso, di umido. Era del tutto scomparso quel piacevole e delicato profumo di lavanda, che già sulla rampa delle scale prendeva possesso del tuo corpo, portandolo con te per ore ed ore. Trovai la signorina, oggi quasi novantenne, con una grande gobba al collo, qualche dente mancante, solo i capelli “colorati” erano quasi uguali a prima. Ma era parecchio invecchiata. Anche un po’ stanca. Il suo viso era un tenero assembramento di rughe. Alla poltroncina, al cotone e all’uncinetto tra le sue delicate mani, si erano sostituite una sedia a rotelle e uno stropicciato fazzolettino di carta bianco. Anche la voce era diversa, era tremante come una foglia d’autunno sul suo ramo. Sembrava accordarsi perfettamente col tremolio non più controllabile delle sue mani. La signorina, che ha sempre abitato da sola, era conosciuta da tutti i vicini e i parenti per il suo cinguettante e coloratissimo canarino. Era il suo “compagno” di vita. Due eterni e sereni innamorati.

A tal proposito, c’è un simpatico dettaglio, impossibile a dimenticarsi, il canarino si chiamava, guarda caso, Romeo. Stava chiuso in una grande gabbia. Con i contenitori sempre pieni di mangime ed acqua. E, conficcati tra le sbarrette, pezzettini di mela, banana, anguria, grossi chicchi d’uva. Romeo, al fischio della sua “Giulietta”, rispondeva subito con un prolungato cinguettio: la sua lode cantata, il suo ripetuto piccolo “magnificat” per le cure e le attenzioni ricevute. Ma non basta. La padroncina era riuscita anche a farsi dare “il bacino” dal suo Romeo. Bastava che glielo chiedesse, che avvicinasse le sue labbra alla gabbia e il pennuto ne poggiava il becco sul suo viso. Un gelido inverno Romeo si ammalò per vecchiaia, cantava pochissimo, non mangiava più neanche le briciole dei biscottini che lo facevano impazzire e svolazzare di gioia. Alla sua morte, la signorina, pur di non privarsene del tutto e per sempre, decise di farlo imbalsamare. E Romeo è ancora lì, nella sua grande gabbia. Senza vita. L’ho rivisto, dopo vent’anni, insieme alla sua padroncina. Lei, che solo per “amore”, pur di evitarne la sepoltura, continua a trattenerlo con se. Tra le braccia del suo cuore. La raffinata signorina, nel salutarmi, mi ricordò del suo indelebile impegno di preghiera per le vocazioni in seminario. Mi disse: «Da quando ero beniamina in Azione Cattolica».

Quelle parole, quel sottile filo di voce riempito dal suo zelo quasi “immortale”, mi fecero subito pensare al seminario e alla pastorale vocazionale. Metaforicamente e con un eccesso di fantasia accostai la nobile donna e il suo “inseparabile” canarino alla pastorale vocazionale e al seminario. Mi chiesi se non fosse giunto il tempo di provare a separarle. Idealmente l’abbiamo compreso, ma nella realtà, dalla pastorale vocazionale si spera che arrivino quelle tanto attese vocazioni per il seminario. Forse è giunto il tempo di iniziare a far volare la speranza dell’arrivo di nuovi operai, per la vigna del Signore,  senza più pensare a “Romeo”, alla sua gabbia, al suo canto incantevole e alla sua bellezza. Il cielo è ancora pieno di uccelli, tra gli alberi ci sono tanti nidi. Facciamo birdwatching. Iniziamo a guardarli. Mai a catturarli! Potrebbero insegnarci “qualcosa”…                      

Inoltre, caro lettore, so bene che nel leggermi la tua prima reazione sarà stata quella di provare tanta pietà per il povero “Romeo” in gabbia. E poi, lo abbiamo visto perfino imbalsamato. Però vorrei che pensassi che, come il canarino, una pastorale in gabbia, non libera e non aperta, non genera nulla. È sterile. Assente dalla storia, non potrà mai dare risposte “alla vocazione”. È questo il grave oblio pastorale del nostro tempo. Preferiamo imbalsamare il passato, pur di non osare nel presente.

Foto Sergeynagornyi07 – Freepik.com