O Dio, Creatore della terra, del cielo e del mare, dell’uomo che hai fatto poco meno di Te; di ogni uomo che ha una dignità divina, coronata della Tua stessa gloria e del Tuo stesso onore.
Ieri, come ogni giorno, sono stato ai piedi di un grande e pregevole altare di marmo per celebrare la “nostra” Eucarestia. Con Te, il Tuo Figlio Unigenito, lo Spirito Santo e un frammento, una “mollica” del Tuo popolo.
Su un altare coperto da una bianchissima e profumatissima bianca tovaglia, le cui estremità sono adornate da raffinatissimi merletti.
Ancora una volta, dopo avere indossato i violacei paramenti e atteso il suolo delle campane, ho chiesto alla mia memoria di non lasciarsi sfuggire il nome del defunto da ricordare.
Ma l’arrivo di un’improvvisa ed inaspettata pioggia battente, accompagnata da forti tuoni, stravolge “silenziosamente” il mio tradizionale protocollo da seguire.
Il suono di quell’acqua che cadeva giù dal Tuo cielo, pareva “chiedere” di unirsi alle voci, quasi tutte “rosa” che davano il via al canto d’ingresso. Di diventarne un’originale colonna sonora. Quell’assembramento di rumori e suoni era simile al riecheggiare del toc toc di tante mani; mani che bussavano, con il tocco riconoscibilissimo della fraternità, ad un “invisibile” portone e che chiedevano di entrare. Stavolta, non in una tanto sognata “terra promessa” chiamata Europa o Italia, neanche tra le mura della chiesa della mia parrocchia, ma in quell’angolo, in quel perimetro di eternità universale, chiamato Eucarestia. In quel “fazzoletto” di terra e di cielo che sa abbracciare ogni dolore e raccogliere ogni lacrima dell’uomo. Di ogni uomo.
Le sentivo accanto a me. Erano tutte con me ai bordi di quel bianco altare. Erano le braccia, le mani e le manine che solo poche ore prima si erano alzate tra le acque del mare Ionio, a soli 150 metri dalla riva, per chiedere Vita.
Braccia, mani, cuori e cuoricini, corpi di Vita e “divini” uccisi dal peso delle onde della nostra cieca indifferenza e non, come si legge in qualche pezzo di sterile cronaca, da una secca fatale. Tanti “alter Cristus”. Pochi minuti prima dal Tg1 avevo appreso che fossero 67. Tra questi con precisione vi erano 33 donne e 20 bambini. A differenza del defunto, il cui nome continuavo a ricordare, quasi tutti loro sono senza un nome. Di un bambino si era detto che aveva solo sette anni e di una ragazza di 14 anni che portava capelli neri e ricci.
All’Eucarestia che stavo per celebrare si univa così un altro, un nuovo frammento di “storia della salvezza” a firma di poveri anonimi. O meglio di altri 67 angeli, ma di quelli, avrebbe scritto don Tonino Bello, con un’ala soltanto. Di quelli che Tu, o Dio, hai fatto “volare in Cielo”, nel Tuo mare azzurro; abbracciandoli con la Tua ala. Perché la loro ala, possibilmente quella destra, è stata falciata dal nostro egoismo; si è spezzata ed è annegata tra le acque di quel mare che ci chiede di essere la Tua porta, la porta di Dio tra di noi.
Intanto, i miei occhi si posano su quell’oceano di eternità, chiamato Eucarestia. Da dove Tu, o Dio, mi chiedi di leggere ad alta voce gli autografi di ognuno di loro, scritti con il sangue e l’acqua, sgorgati dai loro costati, trafitti dalle lance dei nostri barbari e corrotti giochi politici. Firme “gridate” con l’urlo della supplica fatto diventare muto: le loro bocche sono state zittite con spugne bagnate dall’aceto del nazionalismo e dal fiele di ogni sporco e possibile interesse economico.
Le firme sono tutte uguali: figlio di Dio.
Intanto, comprendo come quell’Eucarestia, ogni Eucarestia sa accogliere, o meglio, sa abbracciare ogni crocifisso del nostro tempo, ogni angelo con una sola ala, ogni nuovo cittadino della storia della salvezza.
Così ieri l’altare e la tovaglia della Basilica di San Pietro di Collesano sono state “sostituite” da quel “fazzoletto” di spiaggia del mare di Cutro. Vi ho visto i “mille” pezzi di quel vecchissimo e fragilissimo barcone partito da Smirne. Frammenti di legno che continuavano a sbriciolarsi come la speranza dei nostri fratelli e sorelle che sognavano di passare dall’inferno della non vita al paradiso della vita. In tanti affermano che si tratti di “uomini in cerca di fortuna” e che non debbano partire, ma rimanere nei loro paesi. Ai loro diktat, generati dalla sola forza del potere, il potere assoluto dei potenti, io preferisco quella del Padre Nostro, del Padre di ogni cristiano, di ogni fratello appartenente a qualsiasi religione, di ogni uomo di buona volontà. Quella forza dell’Amore che si fa Creazione di ogni cosa visibile e invisibile; continua, quotidiana ed eterna. Quella forza dell’ Amore che diventa compassione “bella” che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, fa scendere la pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Quella forza che si fa gratuità totale nel darci “potere” su ogni opera delle Sue mani, nel porre tutto sotto i nostri piedi.
Ti chiedo, o Buon Dio, di fare in modo che ogni Eucarestia celebrata diventi per ognuno di noi “pane di vita”. Pane che diventi cibo capace di fare in modo che ogni “potere” che Tu ci doni, anche sull’uomo da Te creato, diventi servizio. Fa che ogni nostra assemblea eucaristica viva nell’attualità di una fede e di una carità non ipocrita.
Immagine: frame servizio SkyTg24