In un centro commerciale alle porte di Palermo, dopo anni e anni, rivedo Salvo, un compagno di studi di mio fratello. Con i carrelli stracolmi ci dirigiamo entrambi verso le casse. Ci attende una lunga fila. O meglio, una ordinatissima processione dove nessuno ha tra le mani la monetina per il santo, ma un bancomat o una carta di credito per le sorridenti cassiere. Dallo schermo del suo smartphone, che casca per terra per ben tre volte, Salvo scorrendo una mirabile galleria di foto e video, si improvvisa abile regista, ricucendole con le sue “narranti didascalie”. Così in pochi minuti mi ha fatto conoscere il figlio Edoardo, il suo unico figlio. Una conoscenza virtuale, che si interrompe quando mi fa sapere che quello era anche il giorno del compleanno del suo bambino. Ma un problema lo angustia, e deve risolverlo nel più breve tempo possibile: non riesce a trovare un regalo da fargli. Mi confessa che ha tutto. La sua stanza è piena di giocattoli: «Quasi come l’apposito reparto del centro commerciale che stiamo per lasciare».

Con un pizzico di ironia, gli suggerisco di pensare a quello che forse potrebbe essergli il dono più gradito: il regalo di un fratellino o una sorellina. La risposta di Salvo è immediata e secca: «Sua madre non vuole altri figli.» Usciti dal grande magazzino, in macchina ad attenderlo c’è la moglie. È impegnata, “tra le mura dell’auto” nel seguire uno di quei costosissimi corsi online che ti abilitano a essere insegnanti di sostegno.

Nel nostro fugace saluto, pure a lei inoltro l’invito a pensare a un altro figlio-figlia come regalo per Edoardo, stuzzicandola sull’avanzare degli anni. Anche la sua risposta è tempestiva. Ha il tono dell’accusa e del lavarsene le mani alla Ponzio Pilato: «Suo padre non ne vuole sapere nulla». Rimango spiazzato.

Papà e mamma di Edoardo mi hanno lasciato senza parole. A volte, inconsapevolmente, amiamo scegliere le note “stonate” dell’egoismo. Quelle che non potranno mai farci cantare il canto dell’amore. E quello della paternità e maternità. L’indomani in un’area di servizio della Palermo-Catania incontro un mio caro amico. Entrambi dobbiamo fare carburante. Entrambi abbiamo tra le mani i nostri bancomat. Da sempre ha avuto una passione sviscerata per la politica. Nel travaglio della stesura delle liste da ultimare per l’elezione del sindaco del suo paese, mi fa una sintesi di tutte le sue fatiche e i suoi programmi. Anche lui è felicemente sposato con due bambine. Le chiedo della moglie e di Gaia e Ginevra. Subito lo vedo sconvolto in viso. Con la mano destra si dà un forte pugno in testa. Era al cinema con moglie e bambine. Ha ricevuto una telefonata di un collega di partito che lo invitava a tornare in paese per un’urgente riunione. Uscito dal cinema, per rispondere al telefono e, messosi in macchina per raggiungerlo, si era dimenticato della moglie e delle figlie. Le quali, inconsapevoli di essere state “abbandonate”, proseguivano serenamente la visione del film. Dopo avere fatto il pieno, fu costretto a ritornare indietro. Nel darmi il suo abbraccio mi chiede di pregare per lui.

Così rifletto sulle mie corse. Sulle tante corse per le autostrade della gratificazione e dei mille impegni di noi tutti, di tante mamme e papà. Corse che possono causare “gravi incidenti” e mettere “a rischio” le relazioni con le vite che ci appartengono. Con quelle che amiamo e che ci amano.

Questi due incontri con due papà e con le loro famiglie saranno i semi della mia riflessione e della mia preghiera in preparazione alla festa di San Giuseppe, che è anche la festa dei papà.

Nel portare avanti, in preparazione alla festa del santo, le nostre rispettabilissime novene, coroncine, tridui, processioni e tavolate in piazza, non perdiamo di vista il presente, la vita; le gioie, le tristezze, le speranze e le angosce degli uomini del nostro tempo. Dei papà di oggi. Quel “vino nuovo” e quegli “otri nuovi” che troviamo nei banchetti imbanditi per noi dalla storia. Tra le mura delle nostre case. Delle nostre parrocchie. Della nostra comunità.