“Bisogna trovare il coraggio di compiere gesti inutili”, è questo che l’esperienza trascorsa a Brancaccio, che s’inserisce nel progetto “Verso Obala passando per…”, ha lasciato a noi giovani missionari. Ce l’ha insegnato Valentina, una volontaria del centro “Padre nostro” che, cresciuta in quello stesso quartiere, ha deciso di portare avanti la missione che il beato Padre Pino Puglisi aveva abbracciato; perché, come ci ha rivelato dopo aver raccontato la sua storia, una volta conosciuta la realtà nella quale ha operato Padre Puglisi, è impossibile uscirne fuori senza un nodo alla gola. Ed è questo ciò che ognuno di noi ha provato durante tutta la giornata: da quando siamo entrati nella piccola chiesetta, fino a quando siamo usciti dalla casa dove abitava Don Pino.
La storia del famoso 3P (come lo chiamavano i suoi ragazzi) e in generale la storia della mafia negli anni ’90, è un argomento di cui tutti avevamo già sentito parlare, ma mai in questo modo. Nella voce di Valentina era possibile cogliere tutta la sofferenza di chi quella storia l’ha vissuta con i propri occhi, di chi ha ritrovato tra i protagonisti vecchi compagni di scuola, ma che nonostante tutto ha avuto il coraggio di testimoniare. Ci ha parlato di un Padre Puglisi diverso da quello che viene spesso raccontato: un uomo semplice con un grande senso morale, ma comunque un parroco, che non usciva mai di casa senza la Bibbia sotto al braccio, che non trascurava l’aspetto spirituale come spesso si è portati a credere.
In quella piccola chiesetta, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare alla Santa Messa, animata da un gran numero di bambini del quartiere. Prima della benedizione finale tutta l’assemblea, con chiara commozione, si è unita nel recitare una breve ma intensa preghiera “Il tuo sangue ha fecondato/ Le aride zolle di Brancaccio […]”, in ricordo di Padre Pino. Spostandoci al centro “Padre nostro”, ci è stata raccontata la storia della struttura per la quale Padre Puglisi aveva molto combattuto e abbiamo accolto, quei bambini presenti a messa, che accompagnati dalle suore, come di consueto, hanno fatto merenda, giocando e cantando insieme. Sfortunatamente dei molti volontari che gestivano il centro al tempo di Don Pino non ne è rimasto nessuno, ma grazie all’impegno delle suore Missionarie della carità, insieme ad alcuni giovani, la sua opera continua ad andare avanti. La seconda tappa del nostro piccolo pellegrinaggio è stata la casa-museo, che si affaccia su un piccolo piazzale dove adesso si trovano un giardinetto, con una mostra fotografica della visita di Papa Francesco, e una “lapide” che indica il punto in cui è caduto Don Pino quando è stato assassinato. Visitare la casa nella quale egli ha vissuto i suoi ultimi anni, ha reso ancora più reale ciò che Valentina aveva testimoniato. La casa era semplice e piccola ma dentro si può ancora sentire il calore che Don Pino trasmetteva a chiunque lo andasse a trovare, per parlare o ricevere un po’ di conforto. Nonostante è stata trasformata in museo mantiene un’aura di familiarità che la rende quasi viva, come se fosse ancora abitata dal beato. È stata sicuramente una giornata piena di emozioni e suggestioni. Ognuno di noi facendo propria la frase che Padre Pino ripeteva, “Bisogna trovare il coraggio di compiere gesti inutili”, si è reso conto che, bisogna superare qualsiasi ostacolo o difficoltà e con la gioia del vero cristiano, dare il proprio contributo anche se apparentemente “inutile”.




