L’Africa, un’esperienza aspettata e temuta da anni, la Terra per la quale abbiamo affrontato mesi di preparazione ma alla quale non saremmo mai stati realmente pronti. Queste sono le premesse con cui è iniziato il nostro viaggio, volando dalla Sicilia fino in Turchia per atterrare nel piccolo aeroporto di Yaundee, dove ad attenderci non c’erano neanche i nostri bagnagli. E questo si potrebbe considerare il punto d’inizio della nostra avventura, non l’intera giornata di viaggio, e neanche la stanchezza appena arrivati in Cameroon, ma la consapevolezza di trovarsi in terra straniera, in missione per donare qualcosa, ed avere soltanto i vestiti che portavamo addosso.

Ma ciò non ha sicuramente fermato il nostro entusiasmo: arrivati con le prime luci dell’alba nella casa dei Padri Mariani che ci hanno ospitato per tutto il periodo della nostra permanenza, non abbiamo perso tempo a dormire o a sederci per un attimo: volevamo vedere, esplorare, sentire l’Africa che finalmente si trovava davanti ai nostri occhi. A quell’ora i giovani erano già a lavoro: ragazzi di tutte le età, anche coloro che considereremmo ancora bambini, impegnati a scavare la terra rossa del luogo con gli attrezzi a loro disposizione. Anche le ragazze lavoravano, e portavano con loro piccoli fagottini coperti in modo troppo pesante per quel clima caldo.

La vera rivelazione però c’è stata data dai villaggi: fin dal primo dove pur essendo accolti con grande entusiasmo, ciò che rimaneva predominante in tutto il gruppo era il senso di colpa, l’impotenza nell’accettare tutta quell’ospitalità senza essere in grado di dare nulla in cambio, neanche una semplice caramella. Lì, in quel piccolo villaggio, abbiamo pensato per la prima volta alle nostre valigie, a tutto l’impegno messo per raccogliere i vestiti, le medicine e i giocattoli, per poi arrivare a mani vuote: come degli ospiti ingrati.

Anche il primo incontro con il Vescovo S.E.R. Mons. Sosthène Léopold Bayemi Matjei si è svolto in un clima di allegria e semplicità. Mons. Sosthène ha fatto di tutto per metterci a nostro agio, interessandosi a conoscere tutti i membri del gruppo e salutando con affetto coloro che aveva già incontrato negli anni precedenti. La discussione si è in seguito spostata sulla costruzione del Centro di formazione “Casa Betania” che nasce dalla cooperazione tra la Diocesi Di Cefalù e la Diocesi di Obala, voluta dal nostro Vescovo S.E.R. Mons. Giuseppe Marciante.

Vivendo due settimane nella realtà africana, immersi nell’ambiente dei villaggi abbiamo avuto modo di scoprire un nuovo modo di pensare, che si allontana dalla mentalità occidentale, conoscendo usanze e tradizioni di una cultura straniera e molto distante dalla nostra. Con interrogativi che nascevano ogni giorno, pronti ad essere risolti da Don Raphael e Benjamin, delle guide essenziali per il nostro viaggio.

È difficile descrivere le sensazioni che tutti abbiamo provato vivendo a stretto contatto con ciò che spesso siamo abituati a recepire come un eco lontano, proveniente dallo schermo della TV o dai video sul cellulare. Vedere con i propri occhi gli scaffali quasi vuoti di una farmacia in un centro sanitario, o accorgersi che accanto ad una casa in cemento ci sono anche abitazioni costruite con mattoni di terra; osservare tutte le contraddizioni di una Terra che ha lottato per anni e che ancora sta lottando per rialzarsi, ma non avere la forza di accettarle, non avere l’esperienza necessaria per capire e il potere sufficiente per cambiarle.

Questa è l’Africa. Un posto dove i bambini lavorano come degli adulti ma si emozionano ancora per un palloncino; dove l’ospitalità viene prima di qualsiasi cosa; dove la musica e la danza sono presenti in ogni momento importante (dai matrimoni ai funerali). Questa è l’Africa. Una Terra che in poco tempo abbiamo imparato ad amare e che ci ha accolti come se fossimo suoi figli; nella quale abbiamo fatto esperienza di cosa significhi la parola missione e che adesso siamo pronti a raccontare.