Alla fine la Commissione Europea ha fatto dietro front e ha ritirato l'”Union of Equality”, il documento interno per la comunicazione delle istituzioni comunitarie che tracciava il nuovo decalogo linguistico che avrebbe dovuto rispettare qualsiasi diversità eliminando ogni riferimento di genere, stato civile, età, orientamento sessuale, religione. Una via alla neutralità e all’inclusione, negli intenti della Commissione, una via all’omologazione se guardiamo dall’esterno quanto tentava di fare il documento che è stato al momento ritirato.

“L’iniziativa delle linee guida aveva lo scopo di illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione. Tuttavia, la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento” ha dichiarato la commissaria Ue all’Uguaglianza Helena Dalli, supervisor delle indicazioni per la comunicazione esterna e interna dell’Ue.

Da quello che ne è venuto fuori sembra più un documento che punta all’omologazione. Nella varietà sta infatti la forza di un’umanità troppo spesso in conflitto. Non far sentire nessuno discriminato non vuol dire rendere tutto ‘neutro’, ma rispettare le diversità, le sensibilità diverse a partire dall’utilizzo delle parole che non devono essere discriminatorie e la via dell’omologazione in questo è la più facile da percorrere. L’omologazione diventa essa stessa discriminante volendo cancellare identità, culture e tradizioni.

La polemica è divampata leggendo quanto previsto nel capitolo “Culture, stili di vita o credenze” in cui tra i vari esempi si chiede di evitare la parola Natale per «essere sensibili al fatto che la gente ha tradizioni e calendari religiosi differenti» o ancora di «non usare negli esempi e nelle storie solo nomi che sono tipici di una religione», nomi che sono entrati a far parte delle nostre tradizioni, nomi popolari.

Sottraiamo per un attimo dal Natale la sua valenza religiosa (che è la più importante) e pensiamo a tutte le tradizioni che a questo periodo sono legate, diverse per aree geografiche, Paesi, ricche e variegate in ogni aspetto. Sono frutto delle radici cristiane comuni che a livello culturale sono le radici comuni di quell’Europa che in nome di una pretesa neutralità rischia di cancellarle.

Che poi non basta cambiare le parole per essere più inclusivi, bisogna lavorare sul rispetto reciproco vero, sulle politiche di integrazione e accoglienza.

Bene si legge nell’introduzione di “Union of Equality”, sentirci “uniti nella diversità”, non nell’omologazione.